“Così daremo questo grosso prestito. La maggior parte tornerà ai creditori, mentre il paese rimarrà col debito, più una montagna di interessi. Così diventeranno i nostri servi, i nostri schiavi. E’ un impero. Non ci sono alternative. E’ un grande impero, di grande successo”. (John Perkins)
“Gli uomini, è stato detto, pensano in greggi. Si vedrà che impazziranno in greggi e riguadagneranno la ragione lentamente, uno per uno”. (Charles Mackay)
“Finchè l’inganno procedeva tranquillo e consolatorio, tutti ci siamo fatti ingannare, avallando l’inganno per incoscienza o, forse, per vigliaccheria”: (William Faulkner)
Come nel caso di Cuba, dove ci si ridicolizza facendo passare il gigantesco passo indietro delle privatizzazioni, della subordinazione alla Chiesa e della pacificazione con gli Usa, per aggiornamento del socialismo alla vietnamita, le sedicenti sinistre-sinistre, dal “manifesto” in giù, ora si divincolano nell’inguacchio bersaniano della “non sconfitta” per mettere una toppa alla cazzata sesquipedale della “rivoluzione “di Tsipras. “La strategia della farfalla ateniese”, titola il manifesto, ancora a resa dichiarata, e “Ora sarà Atene a scrivere le sue riforme”. Grottesco, patetico, conferma dell’inanità di gentucola frustrata, ma irrimediabilmente vanesia che,annegando nel brodo dei propri ininterrotti abbagli, non perde occasione per saltare sulla prima carrettata di pugni chiusi che passi al largo. La questione sarebbe irrilevante se costoro non riuscissero, comunque, a seminare nebbia tossica in cervelli che, in mancanza di meglio e di una qualche autonomia di pensiero, potrebbero individuare alternative credibili.
Come volevasi dimostrare
Gioiosi, trionfanti, invece, gli organi di corte che si esaltano per la “sconfitta, la disfatta, la resa, la capitolazione” di Syriza, che aveva osato promettere al popolo un destino diverso dall’essere divorati dall’associazione a delinquere del furto e del sociocidio rintanata a Berlino, Francoforte, Washington e Bruxelles. Dicono bene, “disfatta”, “capitolazione”, eccetera, anche se ci fa schifo la servile identificazione di questi sicari con le ragioni dei loro mandanti. E’ bastata, quella faccia a gancio di macellaio di Schaeuble, clone del celebre Dr.Stranamore, dal braccio teso a scatto e dall’identica esibizione da una sedia a rotelle del meglio della psicopatia nazista, per riassumere così, nella riunione dell’Eurogruppo, l’uppercut europeo al fasullone di Atene: “Zitti, la riunione è finita”. Come dire: fuori dalle palle e vai a fare i compiti. Si è poi divertito, il giustiziere della Merkel, di fare il beffardo: “Il Greco avrà qualche difficoltà a spiegare l’accordo ai suoi elettori”.
“Le autorità greche si impegnano ad astenersi da ogni modifica delle misure e da ogni cambio unilaterale delle politiche e riforme strutturali che impatterebbero negativamente sugli obiettivi fiscali, il recupero economico, la stabilità finanziaria, come stabiliti dalla Istituzioni” (Troika). Senza obbedienza a questi ordini, niente miliardi in ulteriori crediti richiesti per evitare il default sul debito di 320 miliardi di euro. Varoufakis,Il fichissimo ministro greco addetto all’estrema svendita della culla della civiltà europea (agli Usa e ai loro sicofanti europei dà fastidio ogni riferimento a civiltà), ha preso e portato a casa. Poteva fare diversamente chi per anni era stato braccio destro del ladrone Pasok, Papandreu? Poteva stupire chi s’era fatto ammanettare dall’alleanza governativa con un partito di destra e con un Capo dello Stato tratto dalla reazionaria e corrotta Nea Democratia?
Non per nulla a Matteo Renzi, pari truffaldino venditore di elisir di lunga vita, dai gorghi in cui va sprofondando e in cui ha contribuito a cacciarlo Tsipras ha reso grazie per l’aiuto dato. Trattasi di funamboli della presa per il culo, ma nel gesto c’è un barlume di onestà: grazie per avermi dato una mano a buttare alle ortiche, come tu insegni, le promesse elettorali della palingenesi. Tsipras dopo Samaras e Papandreu è come Renzi dopo Berlusconi, Monti e Letta e non c’è dubbio che anche a lui l’eurodittatura lubrificherà la corsa a trascinare un popolo, che ha marciato al suo piffero, a ulteriori sorti magnifiche e progressive dell’europredazione: fine della contrattazione collettiva, conferma dello sbattimento in strada degli statali, deregulation, privatizzazioni, condizioni della Troika (cui Tsipras è riuscito a mettere la maschera di carnevale “Istituzioni”) per le “riforme di aggiustamento”, accettate in cambio di quattro mesi in rianimazione.
Qui, come per tutti noi che veniamo scarnificati dal metodo “austerity” di trasferimento della ricchezza dalle acciughe agli squali, non c’è che una soluzione di sinistra: blocco delle operazioni bancarie, uscita nel giro di una notte dall’Euro, confisca dei beni degli avvoltoi interni che hanno spolpato il paese (altro che renziana “lotta all’evasione”), rifiuto di sedersi al tavolo prima che Berlino abbia riparato i danni di guerra, ingresso nel grande fronte antimperialista euroasiatico e dei BRICS. E soprattutto vigilanza di Stato e popolare contro il collaudato ricatto padronale del terrorismo false flag in casa e della conseguente “rivoluzione colorata”. Controindicazioni? Rischioso? Qualcuno ci ha insegnato che è meglio morire in piedi che sdraiati.
Formidabili questi anni degli sbandamenti da erotismo sadomaso per un’interminabile serie di nani e ballerine, specchietti delle allodole, saltimbanchi da strapaese, dilettanti narcisi alla sbaraglio, dai rifondaroli ai girotondini, da Porto Alegre a Marcos, da Alba a Libertà e Giustizia, da Vendola e Ingroia all’Altra Europa. Il “manifesto” e il suo paniere di teste d’uovo dagli interminabili saggi sulla rinascita “dal basso, nonviolenta”, tutta di anime belle, assolutamente indifferenti all’imperialismo quale strumento geopolitico del capitalismo ultrà, si riavrà dalla tremenda cantonata presa srotolando il suo tappeto rosso sulle sabbie mobili sparse dall’ennesimo gabbamondo? Certo che si riavrà, in un paese di ciechi che non vedono cosa c’è di buono in quel 25% di voti per autentiche, per quanto magari non ancora del tutto mature, potenzialità alternative, espresso da chi dei gabbamondo ha finalmente capito la funzione. Per loro basterà di nuovo e sempre l’orbo che guarda in direzione ostinata ma sbagliata, ma da qualche parte li conduce. In fondo, per tutti, è questione di quieto sopravvivere.
Mentre qualcuno di noi andava sventolando sul naso dei corifei di Syriza il curriculum, impeccabilmente antagonista e socialista, dei vicerè tsiprasiani in Italia, da Vendola a Maltese e a residui di partiti sbriciolati, fino a quel faro etico-politico della bilderberghiana Barbara Spinelli, un’incurante allegra Brigata Kalimera ci forniva l’aspetto esilarante della burla. Indimenticabile riedizione dell’eterna ricerca di orgasmi vicari della “sinistra” italiota, andava ad aiutare a rivoluzionare Atene credendosi a Madrid nel 1936. Per evitare quella carnevalata sarebbe bastato restare in Italia davanti allo schermo di “8 e mezzo” e vedere il finto oplite sdilinquirsi davanti alla Gruber (Bilderberg) in sorridenti assicurazioni di buona condotta. E’ vero, noi eravamo corsi da Otelo a Lisbona e per il Cile avevamo raccolto soldi per “armi al MIR”, ma quelle rivoluzioni, per quanto presto assopite, almeno erano sincere.
Rimane il dolore, la solidarietà con un popolo greco che, per tre lunghi e sanguinosi anni, aveva combattuto, senza remore nonviolente, nelle trincee di Piazza Syntagma, per poi finire per doversi esprimere come ieri Manolis Glezos, eroe partigiano e della vittoria sulla dittatura dei Colonnelli: “Rinominare la Troika “istituzioni” è come chiamare la carne pesce, ma non cambia la situazione precedente… chiedo scusa al popolo greco perché ho preso parte a questa illusione…”. Se ora vi aspettate le scuse della congrega di bancarottieri piccolo-borghesi e radical-chic delle pseudosinistre che fino a ieri avevano definito la vittoria di Syriza un cataclisma planetario – “La breccia che si apre nel muro dell’austerità e della mancanza di democrazia” - state freschi. Trafelati, stanno già rovistando nei resti di magazzino per trovare un nuovo curatore fallimentare.
A chi resuscita il falso Gheddafi
Ho avuto uno scambio di opinioni scritte con un bravo attivista del M5S. Lui, distanziandosi peraltro dalle spesso corrette posizioni su imperialismo e guerre di Beppe Grillo e dei suoi, unici nello schieramento politico italiano che abbiano fatto risuonare nel parlamento e in rete voci di resistenza al neoliberismo e al suo strumento Euro, aveva fatto una descrizione di Gheddafi che ripeteva i classici stereotipi delle demonizzazioni dei disobbedienti, dal “dittatore” a colui che aveva “massacrato il proprio popolo”. Segno di quanto sappia infiltrarsi anche tra i liberi e pensanti il veleno della disinformazione. Qui la mia replica all’indirizzo anche di tutti quelli che, mentre perfino alcuni responsabili del genocidio libico, iniziano a sussurrare, nascondendo la mannaia insanguinata, “forse era meglio prima, con Gheddafi”, ancora si aggirano tra gli specchi deformanti del menzognificio imperialista.
“Creare in Libia un nuovo Gheddafi”?
E’ implicito, nel titolo del pezzo, un’idea che il quarantennale governo di Muammar Gheddafi sia stato una crudele dittatura, come quella ossessivamente ripetuta dalla stampa ufficiale, soprattutto alla vigilia e durante l’aggressione e distruzione totale di quel paese e a queste funzionale. Ecco i punti di dissenso, basati su una conoscenza diretta del paese, prolungatasi per decenni e completata con i reportage dalla Libia sotto attacco jihadista e Nato (Vedi il mio “Maledetta Primavera”).
Quella che nel 1969 ha detronizzato Re Idris era una rivoluzione – non colpo di Stato –sì, di militari nazionalisti, ma sostenuta da tutto un popolo già ribelle allo sterminio e alla depredazione colonialista italiana, espressisi in ben tre guerre (1911, 1936, 2011) e conclusasi con il passaggio delle consegne colonialiste ai britannici e al loro fantoccio. Un re travicello che ha rinnovato il dominio delle multinazionali occidentali sui beni del paese e la situazione di sfruttamento ed emarginazione dei suoi abitanti. Non per nulla, coloro che vengono abusivamente definiti “rivoluzionari” e che in effetti sono stati i mercenari integralisti dell’imperialismo, hanno da subito inalberato il vecchio vessillo di Idris e si sono rivelati agenti del recupero coloniale della Libia. Sono gli stessi che oggi provocano la frantumazione sanguinaria di un paese già unito e prospero.
Non si capisce la ragione per la definizione denigratoria di un Gheddafi “poco originale” nel recupero della piena sovranità politica ed economica della nazione e “fedele discepolo di Nasser”. Aspetti che vanno ritenuti fortemente positivi, alla luce dei risultati, originalissimi, ottenuti dalla rivoluzione gheddafiana nei successivi 40 anni e del fatto incontestabile che Nasser è stato il protagonista primo della liberazione e dell’unificazione araba nel segno del laicismo, dell’antimperialismo e del progresso sociale.
“Tutte le cariche più importanti furono ricoperte da Gheddafi”. Qui si percepisce l’eco del “dittatore” (definizione ripresa nell’articolo in terza colonna (“La primavera araba”), con cui il leader libico è stato demonizzato per ottenere il consenso pubblico alla spedizione Nato del 2011. Una demonizzazione che si ripete per ognuno dei leader di Stati che non si piegano al dominio neoliberista e militare dell’Occidente capitalista e che rivela un approccio neocoloniale, con sottotoni razzisti, a organizzazioni di società diverse da quelle che detta il pregiudizio eurocentrista, ma magari rispondenti a tradizioni culturali e politiche e a volontà popolari espresse in congiunture alternative all’esperienza europea.
Si ignora che quella della Jamahirija libica, come teorizzata nel “Libro Verde” (che converrebbe conoscere, anziché ridicolizzare con ingiustificata prosopopea), è stato un tentativo di adottare per un popolo fin lì assoggettato a domini assoluti e diviso in tribù, i principi della democrazia diretta. Questa si articolava in assemblee territoriali e di aggregazioni sociali e industriali deputate a formulare direttive per il proprio autogoverno e a esprimere le proprie istanze in organi via via allargati, fino al Congresso Nazionale dei delegati, organo esecutivo. Struttura non molto diversa da quella teorizzata dal M5S. Gheddafi non rivestiva alcuna carica istituzionale, ma, da padre della Patria, che aveva portato al riscatto e all’unità tutto un popolo, godeva di una grande autorità morale che naturalmente aveva il suo peso sulle decisioni assunte dalle istituzioni.
L’affermazione che “il colonello libico” fosse “affine all’integralismo islamico classico” andrebbe corroborata da fatti e dati. Alla storia risulta che il massimo nemico del governo nato dalla rivoluzione fosse proprio l’integralismo islamista che aveva mantenuto la sua roccaforte a Bengasi (da dove poi sarebbero partite nel 2011 le bande jihadiste sollecitate e armate dall’Occidente e dai sultani integralisti del Golfo), origine di numerose sollevazioni, colpi di Stato tentati e, oggi, provincia del Califfo. A proposito di questo conflitto e delle “dure critiche” dell’ONU a Gheddafi, quell’ONU, che pur avendo avallato tutte le aggressioni Nato ad Afghanistan, Iraq, Iran, Siria, Libia, Jugoslavia, non ha per niente “autorizzato Francia, Gran Bretagna e Italia” a farsi aviazione delle fanterie jihadiste. Autorizzato venne unicamente una “No Fly Zone”, poi allargata abusivamente dai governi menzionati a guerra totale.
Si parla di “violenze compiute da Gheddafi nel tentativo di riprendere il controllo della situazione”. Una falsità totale, quella del “dittatore che bombarda il proprio popolo”, utilizzata, come per Milosevic, Saddam e Assad, come alibi dell’aggressione. La popolazione dei quartieri tripolini presuntamente bombardati da Gheddafi, e io stesso che mi trovavo sul posto, come il vicario del papa, Martinelli, come i satelliti che controllavano il territorio, avevamo smentito definitivamente tale bufala, come le altre affini su Gheddafi che rimpinzava le sue truppe di Viagra perché stuprassero i propri cittadini (ottimo per consolidare consenso nel momento dell’aggressione!), che torturasse i prigionieri, che cacciasse nel deserto e uccidesse migranti (due milioni di migranti erano ospitati in Libia con gli stessi diritti degli autoctoni).
A proposito dell’ONU, più che la subalternità del suo segretario generale a tutti i diktat del padrino Usa, varrebbe la pena ricordare, il documento ufficiale della Commissione ONU sui Diritti Umani che, ancora nel febbraio 2011, riconosceva alla Libia di Gheddafi il primato continentale nei diritti umani. Si chiama “Indice dello Sviluppo Umano” ed elenca l’emancipazione delle donne (giustamente menzionata anche nell’articolo), la riappropriazione e distribuzione delle ricchezze nazionali, la giustizia sociale che aveva portato al benessere generale, l’istruzione e la sanità gratuite, la piena occupazione, la sicurezza della casa, l’assenza di povertà, l’uguaglianza, la dignità. Tutto senza confronti, non solo nel continente africano, ma assolutamente inconciliabile con i progetti della globalizzazione neoliberista.
L’autore riferisce che, secondo i servizi segreti occidentali, Gheddafi avrebbe sostenuto il “terrorismo” dell’IRA, dell’OLP e dell’ETA. Appunto, “terrorismo” secondo i servizi segreti occidentali. Forse andava aggiunto che quelle degli irlandesi, dei palestinesi e dei baschi, dal punto di vista delle rispettive popolazioni, erano lotte di liberazione nazionale contro il terrorismo colonialista di potenze occupanti. E’ improprio l’accostamento a queste lotte, con implicito attribuzione di colpa, dell’abbattimento del Jumbo Usa su Lockerbie in Scozia. E’ vero che Gheddafi, per uscire dalla morsa mortale delle sanzioni e dei bombardamenti Usa, consegnò alla magistratura due cittadini libici e risarcì le famiglie delle vittime, peraltro mai ammettendone la colpa. Ma è ancora più vero che, nel giudizio finale, l’unico imputato fu assolto e liberato e che la stessa giustizia scozzese definì il primo verdetto “un’aberrazione giuridica”, mentre numerosi indizi puntavano su un’operazione False Flag della Cia, notoriamente primatista di simili operazioni.
Le rivolte di massa contro i regimi tirannici di Egitto e Libia, la Primavera Araba, anche quelle occultate del Golfo, furono cosa del tutto diversa dalla sedizione, immediatamente armata, dei jihadisti di Bengasi, fin dall’inizio diretta da forze speciali occidentali e che la resistenza del popolo libico sconfisse, fino a recuperare il 70% del territorio, prima del micidiale intervento dell’aviazione Nato e di migliaia di mercenari forniti dagli Stati islamici più retrivi. Oggi, nel sanguinoso caos libico, sono attivi gli stessi protagonisti, evolutisi in ISIS e affini. Non di “guerra civile” si è trattato, ma, come nel caso di Iraq e Siria, di una cospirazione occidentale e israeliana neocoloniale, tesa a liquidare gli ultimi bastioni di una nazione araba laica e sovrana. A linciare Gheddafi, con l’ilare plauso di Hillary Clinton, non furono “guerriglieri rivoluzionari”, ma terroristi, anche colombiani, al soldo degli aggressori.
Dare il merito dell’unificazione della Libia all’occupazione italiana, senza menzionare gli orrori inflitti a quel popolo da Balbo e Graziani, con incendi di villaggi, decimazioni, avvelenamento delle acque, deportazioni, campi di concentramento (600mila morti su due milioni di abitanti), non rende giustizia alla vera unificazione promossa dalla resistenza di tutti i libici sotto la guida di Omar Al Mukhtar, poi impiccato dai fascisti. Per la precisione, va detto che il Sud della Libia non era popolato da tribù “bellicose” (?) prevalentemente berbere, ma di libici africani e Tuareg di varie tribù. I berberi sono una minoranza collocata al confine con la Tunisia, attorno a Zintan.
Infine non credo che ci si possa, da antichi dominatori e seviziatori coloniali, azzardare a formulare interventi e suggerire soluzioni federali (secondo i piani di frantumazione degli Stati arabi elaborati da Israele fin dagli anni ’80) a un paese di cui Gheddafi aveva realizzato l’unità e ne aveva fatto una nazione libera e indipendente, promuovendo al contempo l’unità e l’indipendenza africane: una banca africana, una valuta africana, un’unione economica africana, telecomunicazioni africane. Altrettanti motivi per cui doveva essere rimosso e ucciso.
Le potenze colonialiste non hanno alcun diritto di interferire nel destino dei paesi che vorrebbero ricuperare al dominio e allo sfruttamento. Tanto meno ricorrendo a paesi arabi e musulmani definiti “moderati” (termine ambiguo assai), alleati degli Usa. Quali sarebbero? I satrapi del Golfo, i turchi del sultano Erdogan, le tirannie giordana e marocchina, che tutti insieme affiancano le imprese di conquista e depredazione occidentali? Alle quali una frantumazione della Libia in tre Stati farebbe molto comodo (come in corso di attuazione in Siria e Iraq). Quanto all’ “egida dell’ONU”, si sa a che risultato questa ha portato nella distruzione di paesi sovrani, tutti indistintamente più felici e giusti prima del cataclisma degli interventi occidentali e dei loro surrogati, dal Vietnam alla Jugoslavia, dall’Iraq alla Libia, al Sahel, alla Siria.
Tutto questo è ben esplicitato dalle posizioni del M5S in Parlamento e di Beppe Grillo (vedi recente post su ISIS e Gheddafi), oggi e storicamente unica voce liberatasi dallo tsunami propagandistico dell’imperialismo le cui “verità” sono finalizzate a imbrogliare e frodare la conoscenza della realtà allo scopo di ottenerne il consenso, o almeno la passività, nei confronti delle proprie operazioni genocide. A partire dalla stancamente ripetitiva satanizzazione dei leader che si ostinano a rifiutare obbedienza e sottomissione. Avessimo noi i diritti umani dei libici sotto Gheddafi! Ci leccheremmo i baffi.
**********************************************************************************************
Aggiungo anche, eliminando la firma per non violare uno scambio personale su ciò che si definisce “sinistra”, queste inconfutabili osservazioni di un amico.
Anch'io vedo una buona dose di frustrazione. Dato che in Italia e in Occidente è tutto fermo, si aggrappano a ogni moto purchessia all'estero per vedervi le rivoluzioni che qui hanno solo sognato. A parte l'Egitto, che è un caso particolare secondo me, e alle primavere vere nei vari emirati corrotti di cui non si è parlato, era evidente che le "primavere arabe" erano una manovra a tenaglia. Quando Rasmussen le paragona fin da subito alle "primavere baltiche", occorre ancora che ci facciano i disegnini? In realtà nemmeno i bombardamenti Nato hanno fatto cambiare idea a molti "compagni" (ma sono compagni quelli che tollerano o addirittura guardano di buon occhio i bombardamenti Nato?). Invece si sono lette certe sbrodolate sulle "rivoluzioni senza partito" e altre parole in libertà! (i francesi sempre in testa a dire cazzate, assieme agli italiani, non a caso la Rossanda sta a Parigi). Senza partito ma con la Nato.
Il tanto vituperato "terzomondismo" ha spesso agito come anticorpo all'eurocentrismo e a tutti i suoi pregiudizi. Ma dico, 'sta gente non gira, non si muove, non legge? Come si fa a dire simili bestialità su Gheddafi? Come si fa a non accorgersi che la Siria è la nazione più civile del Medio Oriente?
Tutti affetti da orientalismo. Ottusi, incoscienti, superficiali, provinciali che si dicono internazionalisti.
Che strazio!
Persino sull'Alba sono riusciti a dire idiozie. Ad ogni modo, grande Maduro che ha sventato l'ennesimo golpe, questa volta yankee-UE-israeliano.
E spero che la Kirchner pigli anche lei a calci negli zebedei 'sti provocatori senza scrupoli.
Il tanto vituperato "terzomondismo" ha spesso agito come anticorpo all'eurocentrismo e a tutti i suoi pregiudizi. Ma dico, 'sta gente non gira, non si muove, non legge? Come si fa a dire simili bestialità su Gheddafi? Come si fa a non accorgersi che la Siria è la nazione più civile del Medio Oriente?
Tutti affetti da orientalismo. Ottusi, incoscienti, superficiali, provinciali che si dicono internazionalisti.
Che strazio!
Persino sull'Alba sono riusciti a dire idiozie. Ad ogni modo, grande Maduro che ha sventato l'ennesimo golpe, questa volta yankee-UE-israeliano.
E spero che la Kirchner pigli anche lei a calci negli zebedei 'sti provocatori senza scrupoli.