“Una foglia
di fico grande come il 7 ottobre” Documentario di Fulvio Grimaldi, regia di Leonardo Rosi
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Man mano che l’effetto False Flag, strumento fondamentale da
secoli per chi prova a giustificare aggressioni, crimini, atrocità, guerre,
genocidi, svanisce sotto la pressione delle evidenze contrarie, si deve
provvedere al rinnovo della narrazione falsificatrice con un nuovo episodio
della stessa natura. E’ per impedire agli infedeli mori di insediare Maometto a
San Pietro che toccava liberare il Santo Sepolcro, falciando tutto ciò che da
quelle parti abitava. Ovvio, no? E Torquemada, bruciando tutti quegli stregoni
e streghe, non ci aveva salvato dai sabba infernali che avrebbero aperto le
porte a Satana?
La demolizione progressiva della gigantesca mistificazione
dell’operazione “Alluvione di Al Aqsa” del 7 ottobre 2023, con l’emergere della
spaventosa Direttiva Hannibal, per la quale l’esercito israeliano ha l’ordine
di uccidere i propri cittadini a rischio di cattura, applicata ampiamente in
quell’occasione (come provato dai documenti e dalle testimonianze pubblicate
dal quotidiano israeliano Haaretz), è riassunta nel documentario che qui vi presento.
Dal venir meno di questo abietto pretesto per poter far dire
al regime sionista che, nel genocidio di Gaza, si limita - pur nell’ aberrante
sproporzione dei mezzi e dei risultati - a difendere Israele dal terrorismo di
Hamas, sorge la costante necessità di incalzare con nuovi accadimenti
sconvolgenti da attribuire al nemico. Quello del missile che il 27 luglio
sarebbe stato lanciato da Hezbollah sul villaggio di Majdal Shams, nel Golan siriano
occupato (qui i media lo chiamano “Nord d’Israele”), né è l’occasione. Evento
che era logico aspettarsi di fronte al catastrofico crollo della credibilità sionista
a seguito di 10 mesi di sterminio di civili, 40.000, di cui la metà circa
minori e bambini, dato che prescinde dalle decine di migliaia sepolti sotto le
macerie e delle centinaia di migliaia votati a morte per fame e malattie.
Incidentalmente ricordo l’avanzata dell’IDF sul Golan nel
corso della guerra del 1967 e il mio incontro con le popolazioni che fuggivano
da villaggi dati alle fiamme. Erano drusi, etnia araba devota a una particolare
versione dell’Islam, successivamente favorita dagli occupanti a svantaggio dei
palestinesi, per farne una forza ausiliaria, una piccola quinta colonna nei territori
occupati. Si può dire che i drusi stanno a Israele come i curdi di Siria, Iraq
e Iran stanno agli aggressori statunitensi. Anche se questi giorni, quando gli
abitanti dei Majdal Shams hanno rifiutato la presenza israeliana alle proprie cerimonie
funebri, fanno pensare al ricupero di una misura di dignità araba.
Hezbollah è mille volte più credibile, quando afferma di non
essere responsabile di quei 12 morti sul campo di calcio della comunità drusa nel
Golan siriano occupato. Non ci sarebbe neanche bisogno di una controprova, come
quella fornita da esperti internazionali secondo cui si sarebbe trattato di un
missile deviato dall’azione contraerea israeliana di Iron Dome (sistema che già aveva mostrato tutte le sue
falle al tempo dell’attacco iraniano su due basi militari israeliane).
Dai primi giorni della guerra israeliana alla popolazione
civile palestinese, prima a Gaza e poi anche in Cisgiordania, con particolare
predilezione per l’infanticidio (70 bambini colpiti in una scuola, nello stesso
giorno del Golan, e altre decine di mutilati e affetti da patologie oncologiche
impediti dal lasciare la Striscia per luoghi di cura negli Emirati), Hezbollah si
è rigorosamente limitato a colpire installazioni militari e infrastrutture
strategiche in Israele. Quanto, peraltro, è bastato a costringere circa 200.000
coloni ebrei insediatisi nel nord della Palestina occupata ad evacuare gli insediamenti,
se non a tornare nei paesi d’origine.
Della pratica della provocazione chiamata False Flag, di cui
massimi esperti storici sono gli Stati Uniti, ma a principali protagonisti in
tempi recenti si sono candidati gli israeliani, gli episodi elencati nel titolo
sono solo un accenno. Meno evidente del grossolano falso dell’11 settembre, è l’operazione
“terrorismo integralista islamico”, alla base degli attentati succedutisi in
Europa e negli USA a cavallo del millennio. Ai tanti meriti di Julian Assange e
Wikileaks è da ricondurre anche il legame scoperto tra il Dipartimento di Stato
USA sotto Obama e le formazioni jihadiste, da Al Qaida all’ISIS ad Al Nusra,
operanti in molti quadranti tra Europa, Asia e Africa, sempre in
contrapposizione a governi e popolazioni in conflitto con il neocolonialismo statunitense
e sionista. Fu Wikileaks a pubblicare le migliaia di dispacci con cui la
segretaria di Stato, Hillary Clinton, sollecitava ai suoi terminali diplomatici
il sostegno alle bande di tagliagole, poi addestrate nei paesi vassalli, dalla
Turchia alla Giordania.
Quanto ai “patrioti” e “rivoluzionari” utilizzati per distruggere
le “dittature” di Siria o Libia, così definiti da una sinistra ansiosa di farsi
cameriera ai banchetti imperialisti (vedi Rossana Rossanda, Alexis Tsipras,
fino ai capibastoni PD di ultima generazione e fino ai veneratori dei mercenari
curdi alla Cobas, invertitori a U rispetto ai propri precedenti settantini), a
dirne lo schianto politico e morale non bastano parole.
Del resto, è una virtù tutta di “sinistra” quella di darsi
un patentino di saggi equilibristi, distanti sia dai peggiori, sia dai meno
peggio, nella fattispecie lo Stato Apartheid Israeliano, che però si difende, e
il terrorista Hamas di cui però fanno le spese bambini palestinesi.
Ora tutti si sbracciano, o fingono di sbracciarsi, dal
braccettino di Tajani, al braccione di Biden-Harris-Trump, per evitare che dal
Libano parta l’incendio grande. A me paiono dei figuranti impegnati a
trattenere uno scatenato energumeno con la bava alla bocca che fa finta di
divincolarsi. Teneteme che faccio uno sfracello… che, non me tenete?
La bava la esibisce sempre, la conventicola sion-totalitaria
di Netaniahu, ma credo ancora, e potrò essere smentito domani, che l’energumeno
sia di quelli che non vogliano altro che di essere trattenuti. Gli si permetta
di sfracellare un po’ di gente a Beirut e nelle altre città, poi basta. E’ che
Israele le ha prese già due volte in Libano da Hezbollah, 2000 e 2006 (quando
ho avuto la soddisfazione di esserne testimone). E Hezbollah oggi è 10 volte
più forte.
Attaccare l’Iran? Proprio ora che ci si illude di averne
visto diventare presidente uno che dai buoni è definito “riformista” e “moderato”,
insomma trattabile, piegabile? Sarebbe un’opzione difficile da rendere persuasiva
all’opinione pubblica.
Ma poi c’è Erdogan, del tutto inaffidabile e imprevedibile,
ma qualche effetto, quella sua sfuriata contro Israele da “invadere”, non può
non averne quando si tratta del più potente esercito della regione, in nulla
secondo (se non nell’armamentario nucleare) a quello sionista. E poi c’è lo
Yemen, le cui incursioni sul naviglio hanno messo in crisi il porto israeliano
di Eilat e reso molto problematico il leggendario progetto del “Canale Ben
Gurion” (dal Mar Rosso a Gaza), e ci sono le milizie popolari irachene, reduci
dalla vittoria sullo Stato islamico a Mosul, che ogni due per tre bombardano
raffinerie e porto a Haifa.
Non credo proprio che Israele se la senta. Ogni tanto una
False Flag, per distrarre dalle mostruosità barbariche compiute (e dalle botte
che prende) a Gaza. Per il resto fuffa. Tossica, ma fuffa.