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PCI, INTERNAZIONALISMO, IRLANDA DEL NORD, URSS E CORNO D’AFRICA, IDEOLOGIA IMMIGRAZIONISTA E NAZIONICIDI, LIBERAZIONE SESSUALE E TEORIE GENDER Intervista a Fulvio Grimaldi a cura di Stefano Zecchinelli (L’Interferenza.info

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http://www.linterferenza.info/

A questo sito si trova un'intervista fattami da Stefano Zecchinelli che ha anche recensito con profondità, lucidità e competenza il mio ultimo libro "Un Sessantotto lungo una vita". Parliamo di temi di rilievo attuale e anche storico.



(1)  Il tuo libro, Un sessantotto lungo una vita, contiene una forte critica marxista al Partito comunista italiano i quali burocrati ‘’facevano da cani da guardia al capitale’’. L’opportunismo interno del PCI quali ripercussioni ha avuto nei confronti dell’internazionalismo rivoluzionario? Mi spiego meglio: come si poneva il PCInei confronti delle lotte di liberazione nazionale da te seguite in prima persona? In che modo si poneva il Partito comunista italiano nei confronti della Resistenza palestinese?

Parto da un’esperienza personale. Nel giugno del  1967, mentre ero alla BBC e corrispondente di Paese Sera a Londra, il quotidiano romano vicino al PCI (suo editore) mi spedisce alla guerra dei Sei Giorni in Palestina. In linea con il partito e con Mosca, fautori della creazione di Israele, il giornale diretto dall’ebreo (per quanto questo non debba necessariamente significare niente) Fausto Coen sosteneva il diritto del ritorno degli ebrei “nella loro terra storica” e la costituzione di un loro Stato secondo i deliberati per  la spartizione dell’ONU nel 1948. Alla vista di quanto succedeva nel corso della guerra e subito dopo, l’assalto oltreché a Gaza tenuta dall’Egitto, ma l’avanzata nei territori palestinesi, iniquamente ridotti rispetto alla già diseguale suddivisione dell’ONU, con la brutale cacciata degli abitanti, la distruzione di città e villaggi, l’occupazione illegittima di Golan e Sinai, il trattamento durissimo dei prigionieri arabi, l’oppressione feroce degli abitanti nelle zone occupate, i miei reportage, per quanto “ripuliti” dalla censura militare, andavano in netta contrapposizione con la linea fino allora seguita da partito e giornale. Ma furono pubblicati e indussero un profondo ripensamento che arrivò addirittura al cambio di direttore, dal recalcitrante Coen al disponibile Giorgio Cingoli (pure lui ebreo).

Chiaramente il ripensamento, che portò poi il PCI a barcamenarsi faticosamente tra “diritto di Israele a esistere” e diritto dei palestinesi a resistere, non poteva essere solo frutto dei miei servizi (che, tra l’altro, mi costarono l’espulsione dall’”unica democrazia del Medioriente”), ma fu determinato da un forte dibattito ai vertici e soprattutto alla base del partito e, inevitabilmente, alla luce del rapporto con Mosca a quei tempi, dalla scelta sovietica di sostenere il movimento nazionale panarabo, a sua volta a fianco della resistenza palestinese.

In ogni modo l’internazionalismo del PCI è continuato a dipendere sia dagli equilibri interni, con la componente “migliorista” di Amendola e Napolitano pencolante verso Occidente e Israele, sia dalle giravolte del PCUS nel quadro degli equilibri tra la spartizione delle sfere d’influenza di Yalta e la necessità di garantirsi posizioni di forza geopolitiche. Ne derivava una linea flessuosa, tra appoggi decisi come nelle guerre di Indocina e arretramenti, tipo il cedimento sui missili a Cuba. Mentre sulla Palestina ci si baloccava con l’auspicio di negoziati di pace (poi Oslo) e nella speranza che una resistenza palestinese non violenta convincesse Israele ad accettare i famigerati due Stati.

(2)  Nel libro viene descritta la Domenica di sangue, un feroce massacro per mano dei paramilitari inglesi nei confronti di pacifici dimostranti irlandesi. Sulla base della tua esperienza e delle molteplici documentazioni che hai raccolto, cosa resta, oggigiorno, della Resistenza antimperialistica dell’Ira? Intravedi alcuni parallelismi fra i fasulli Accordi di pace, stipulati dall’Ira col governo inglese nel 1998, e l’ambigua pacificazione colombiana?

A mio parere, in entrambi i casi si tratta di accordi a perdere che non hanno dato soddisfazione alle istanze di liberazione e giustizia e hanno avviato le vicende sul binario morto di una finta normalizzazione, di soddisfazione per i vertici di entrambe le parti. Difficile dire cosa rimanga oggi della resistenza anticolonialista e antimperialista dell’IRA. Gli accordi di pace del Venerdì Santo firmati da Gerry Adams e Martin McGuinness, entrambi ai vertici dell’Ira negli anni ‘70 e ’80, hanno imposto il disarmo dell’IRA, realizzato,  come non lo fu quello delle formazioni unioniste, lasciando nella popolazione repubblicana, ormai non più minoranza nelle Sei contee, ma vicino al 50%, fortemente provata da trent’anni di lotte, perdite e devastazioni, stanchezza, delusione, ma anche rassegnazione.



Mie recenti visite in Nordirlanda, per testimoniare alle varie inchieste sulla strage di Bloody Sunday, confermano sia questa situazione di arretramento, ma anche la perdurante aggressività degli unionisti, con continue incursioni tra la popolazione repubblicana. Rimane intatto  il divario ideologico e politico e la totale incomunicabilità tra le due comunità. Il governo provinciale di unità nazionale, imposto da Londra dopo gli accordi, con la paradossale coabitazione tra l’estrema destra unionista di Paisley e lo Sinn Fein di Adams, non ha portato che un marginale riscatto economico-sociale alla da sempre discriminata comunità repubblicana cattolica. Alla resa dell’IRA hanno reagito alcune componenti dell’organizzazione, Real IRA, Continuity IRA, con sporadiche operazioni contro esponenti dell’amministrazione della sicurezza, ma è difficile rilevarne la consistenza in termini di adesione popolare.

In questa luce i parallelismi con la soluzione del conflitto colombiano e l’analoga rinuncia alla lotta armata di popolo in Colombia risultano abbastanza chiari. Se da questi processi, in ultima analisi governati dalle forze della normalizzazione reazionaria e finiti a loro vantaggio, basti vedere la debacle elettorali delle FARC nelle condizioni impossibili date, possano venire cambiamenti in direzione emancipatrice resta altamente dubbio. La Storia direbbe il contrario.

(3)  Tu hai documentato, con grande rigore metodologico, la liberazione dell’Eritrea, ex colonia italiana, dalla morsa dell’imperialismo occidentale. Nel libro fai giustamente riferimento al – vergognoso – sostegno sovietico nei confronti del colonialismo etiopico. Secondo te, per quale ragione l’Unione Sovietica ha sovrapposto gli interessi nazionali alla solidarietà antimperialistica tanto cara Lenin, Fidel Castro e molti altri rivoluzionari? La politica dei Partiti comunisti europei in che misura è stata condizionata dal ‘’revisionismo’’ sovietico?

Oltre a non avere di solito favorito secessionismi, dei quali poteva temere il contagio nell’Unione, l’URSS ha visto nella defenestrazione del fantoccio occidentale Haile Selassie un’occasione senza precedenti per allargare la sua influenza in Africa, oltre Tanzania, Angola, Algeria, Libia ed Egitto. Troppo appetitosa era la prospettiva di mettere piede in una delle zone geopoliticamente più strategiche del mondo, il Corno d’Africa, lo stretto di Bab el Mandeb, il Mar Rosso, il Golfo Persico, l’Oceano Indiano, da dove passano gran parte degli scambi mondiali, in particolare di petrolio, tra Est e Ovest e Nord e Sud. Le forze rivoluzionarie si sono a lungo illuse che nella politica estera dell’URSS potessero prevalere ragioni etiche e ideali. Nella realtà ha sempre prevalso, non del tutto irragionevolmente, il pragmatismo della realpolitik.

Eritrea 1971, con combattenti del FLE


Quanto ai partiti comunisti europei, raramente si potevano notare divergenze da quanto indicava la casa madre. Al più veniva lasciato qualche spazio a una pubblicistica non direttamente emanazione dei partiti, fiancheggiatrice. Ne fu un esempio in Italia il bel settimanale “Giorni-Vie Nuove”, una specie di Espresso rosso, nel quale a me era consentito pubblicare i reportage sulla lotte di liberazione eritrea, palestinese, nordirlandese.

(4)  Tu ha hai giustamente definito ‘’sociocida’’ e ‘’nazionicida’’ l’’’operazione migranti’’ la quale è stata pianificata dalle fazioni ‘’liberal’’, ben analizzate nei tuoi articoli, dell’imperialismo USA. Pensi che l’ideologia immigrazionista debba essere inquadrata come l’altra faccia del colonialismo occidentale? Secondo te, quale rapporto intercorre fra l’’’operazione migranti’’ e la fine delle lotte di liberazione nazionale, la decolonizzazione radicale che per noi è l’unico antirazzismo reale?

Permettimi qui di rispondere con un brano dalla seconda edizione del mio libro “Un Sessantotto lungo una vita”. Tre sono le grandi operazioni con cui la cupola finanzcapitalista persegue nel terzo millennio il dominio totalitario politico, militare, economico e culturale sull’umanità. Lo Stato unico della sorveglianza e del controllo senza spiragli o crepe. Hanno tutte origine nel cosiddetto riflusso degli anni ’80 del Novecento, risposta all’onda insurrezionale del decennio precedente e prodromo dell’offensiva scatenata vent’anni dopo, a partire dalla “normalizzazione-passivizzazione” delle coscienze e dei saperi con gli strumenti hi-tech degli apprendisti stregoni di Silicon Valley. La diffusione della droga per la guerra alla droga; la diffusione del terrorismo per la guerra al terrorismo; la migrazione di massa finalizzata a un unico superstato che persegue la distruzione di ogni statualità attraverso la creazione di masse, estratte dal proprio contesto storico, omologate dall’abbandono, dalla disperazione, dalla perdita di anima e nome collettivi e da un destino di subalternità irrimediabile.

Strategia di distruzione dei diritti umani (intesi come libertà, riservatezza, lavoro, autonomia, rapporti sociali), se va bene sostituiti da diritti detti civili (perlopiù intesi come superamento di quelli biologici) e dal diritto di muovere guerra e distruzione a chi si pretende di accusare di violazione dei diritti umani. In ogni caso gli effetti collaterali, ovviamente voluti, sono spopolamento, impoverimento generale, rafforzamento di un élite finanziaria sovranazionale, familistica, eminentemente anglosassone. Attraverso l’accumulo di ricchezze, impensabili nel quadro della vecchia  lotta di classe e con gli strumenti tecnologici di cui mantiene il monopolio, si assicura una concentrazione di potere senza precedenti nella storia della vita su questo pianeta.

Che questo processo abbia potuto avanzare senza incontrare grandi ostacoli, almeno nello spazio occidentale, è dovuto anche al supporto, fino alla complicità esplicita, di soggetti, formazioni, giornali che si qualificano di sinistra. Un fiancheggiamento in parte pienamente consapevole, in parte inconsapevole, dovuto alla sclerotizzazione della propria visione dei rapporti di classe, alla mancata comprensione dei mutamenti radicali avvenuti, alla decerebrazione indotta dalla propaganda dei dominanti. Molto ci è rivelato da come le varie parti in commedia hanno affrontato il fenomeno delle migrazioni, senza mai indagarne l’origine e la strategia colonialista che le innesca e che punta a privare paesi dalle risorse predabili delle energie giovanili che ne garantissero il controllo e lo sviluppo e, al tempo stesso, con il dumping sociale nei paesi d’arrivo, abbassassero condizioni e pretese degli autoctoni, promuovendo ulteriori trasferimenti di ricchezza dal basso verso l’alto.

5)    Nel libro dai un giudizio positivo sulle lotte riguardanti l’emancipazione sessuale, un sacrosanto movimento di protesta contro il conformismo cattolico del padronato democristiano. Come mai quelle legittime rivendicazioni, decenni dopo, sono state strumentalizzate e stravolte dalle lobby lgbt? La (falsa)sinistra, tanto nella ‘’operazione migranti’’ quanto nell’avvallare le lobby pro-‘’gay americanizzati’’, in che misura s’è resa complice del lobbismo atlantico?


Mi sembra che sia proprio la questione del cosiddetto “gender” o “transgender” a rivelare l’estensione e la profondità della complicità tra quanto si pretende di sinistra e quanto esprime strategia ed obiettivi dell’élite restauratrice mondialista. L’operazione di valorizzazione LGBT, a implicito discapito dell’eterosessualità e della famiglia come basilare unità sociale e produttrice di vita, dovrebbe essere vista accanto all’altra campagna martellante in cui agiscono di conserva forze dell’establishment finanzcapitalista e sedicenti sinistre nel nome dei cosiddetti “diritti civili”, quella dell’esaltazione delle donne, “a prescindere” e della demonizzazione del maschio, a prescindere. Come effetto, collaterale, ma di notevole portata, l’enfasi sui diritti civili – matrimoni gay, famiglie unisex, stepchild adoption, anche jus soli – relega nell’ombra i diritti sociali e il principio di eguaglianza. Quello che era un segno del progresso umano, la conquista di diritti per i subordinati e sottoprivilegiati, uniti nella lotta oltre le differenze di genere, etniche, confessionali, nazionali, viene sostituito dalla palingenesi attribuita alle donne in posizione di potere, lasciando intatta la struttura di tale potere e il suo rapporto con la società. L’ossessivo slogan di “una donna primo presidente degli Stati Uniti”, che era la linea di forza della candidatura di Hiillary Clinton, una donna peraltro agghiacciante, ne erano l’esemplificazione.


Nel tempo del più brutale assalto della minoranza elitista al resto dell’umanità, del più feroce trasferimento di ricchezza dal 99% all’1%, della catastrofe ecologica perseguita con crescente accanimento e incoscienza, l’innesco di una guerra tra uomini e donne realizza una formidabile arma di distrazione di massa e il principale, tra i tanti, soprattutto hi-tech, strumento di frantumazione della coesione sociale. Premessa per la dispersione di ogni opzione di alternativa e opposizione. Non solo, l’intesa felice che tra donne e uomini aveva realizzato la liberazione sessuale, annichilendo millenni di repressione e contrapposizione imposti tramite ipocrisia, tabù, sensi di colpa, finzione, menzogna, aveva già iniziato a corrodersi e intossicarsi di sospetti con la mega-operazione dell’Aids. Una malattia negata da un numero di Premi Nobel della medicina e che ha prodotto il picco della mortalità a causa di un farmaco distruttore delle difese immunitarie, l’AZT con cui sono stati trattati 300 milioni di pazienti e che ha portato nelle casse della Glaxo-Wellcome 3000 miliardi di lire l’anno, Visto che quasi tutti i trattati con questo farmaco morivano, dal 1996, dopo 15 anni di utilizzo su vasta scala, è stato ritirato, avendo ormai causato un efficace sfoltimento umano e un’ efficace paranoia nei rapporti tra i sessi.


Ma temo che l’obiettivo centrale abbia una terrificante connotazione maltusiana ed eugenetica. Guerra tra i sessi, rendere di tendenza e centrale nei temi di comunicazione, spettacolo, arti e letteratura  comportamenti  e strutture associative che abbiano come esito la sterilità della specie non corrisponde a un intento di ridurre drasticamente la dimensione della presenza umana sul pianeta, di sbarazzarsi di popolazioni giudicate parassitarie e in eccesso? Si ritiene forse che la via a un potere totalitario dei pochissimi, a un’economia che non debba più tener conto di elevati numeri di deboli e bisognosi, a un ambiente in cui la riduzione dei consumi, limitata a quelli di lusso, rimetta in carreggiata l’ecosistema, venga spianata dall’eliminazione di popolazioni con tali metodi, oltreché con guerre, terrorismi, droga, farmacopea, fame, sete?



O LA TROIKA O LA VITA - Non si uccidono così anche i paesi

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In diversi mi avete chiesto quando ci sarebbe stata una presentazione del mio docufilm “O LA TROIKA O LA VITA – EPICENTRO SUD” a Roma.
Organizzata dalla rivista “Indipendenza” , venerdì 13 aprile alle 20.30 presenterò il film al Circolo ARCI della Garbatella, Via Pullino 1, Metro Garbatella.




Sarà l’occasione per scambiarci notizie e riflessioni su quelli che sono i temi del lungometraggio: l’aggressione dei poteri transnazionali, europei e mondiali, al Sud del mondo e dell’Europa, a partire dalla Grecia e a finire con l’Italia, sullo sfondo delle grandi problematiche che imperialismo e mondialismo hanno suscitato in termini di guerre, terrorismo, nazionicidi, devastazioni di ambiente e comunità.
Fulvio

Il rettilario uccidentale, il verminaio jihadista, gli sciacalli della stampa: A TUTTO GAS

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(Ragazzi è lungo, ma non credo non potesse esserlo, data la portata degli argomenti. Prendetevela calma, per un po’ non disturbo)

Quel pazzo di Assad…
I siriani sono un popolo di inebetiti che si fanno governare da un mentecatto sadomasochista che utilizza un esercito di deficienti. Così, nella provincia di Ghouta,  da cui terrroristi jihadisti al soldo di Usa, Israele, Turchia e Arabia Saudita facevano il tiro al piccione sui civili di Damasco, liberata al 90% a costo di interrabili sacrifici e costi, con decine di migliaia fuggiti dai jihadisti che rientravano alle loro case, cosa fanno Assad, esercito e siriani plaudenti? Cosa fanno  dopo che Usa, UK e Francia, notoriamente in fregola di massacri, avevano promesso castighi spaventosi in caso di attacco chimico di Assad? Cosa fanno dopo che l’avevano sfangata nel 2013  dalla stessa identica accusa di aver ucciso qualche centinaio di bimbetti siriani con i gas nervini, sfangata grazie alla smentita dei satelliti russi, grazie alla scoperta di alcuni genitori che quei cadaverini appartenevano a loro figli rapiti da Al Nusra settimane prima nella zona di Latakia e grazie alla consegna e totale distruzione sotto controllo ONU (cioè Usa) dell’INTERO arsenale di armi chimiche siriano? Cosa fanno?

Manco fosse l’idra trumpiana composta da un Bolton (Sicurezza Nazionale Usa), o un Pompeo (Dipartimento di Stato), o una Gina Hagel (CIA), invasati di eccidi, guerre e torture, Assad ordina un’apocalisse chimica su donne e bambini a Douma, ultimo fortilizio in cui sono asserragliati i mercenari israelo-saudi-Nato che si fanno forti dello scudo umano imposto alla popolazione. Un esercito di fratelli, sorelle, padri e figli di quelle donne e di quei bambini, esegue con la coscienza umana e civile di un cyborg alimentato a bile nera di cobra. E il popolo? Plaude, in attesa che ad Assad gli giri di prendersela chimicamente con un altro dei loro quartieri o villaggi.


In ogni caso, la genialata di Assad è servita a un effetto collaterale. Sempre che collaterale sia. Negli ultimi due venerdì, Israele ha commesso più omicidi di Jack lo Squartatore in 30 notti ad alto tasso di neuroni roventi. Avete presenti i videogiochi con i quali i registi culturali statunitensi educano il pupo yankee a trovare il massimo del godimento e del riconoscimento di cittadino dabbene per quanti più bipedi disintegra, città rade al suolo, paesi fa deflagrare? I cecchini di Tsahal appostati al sicuro per il tiro al piccione contro manifestanti a mani nude, stomaci rinsecchiti e vesti sbrindellate, a quella scuola si sono fermati. Ma nello Stato degli ebrei eurocaucasici incistato in Palestina, hanno seguito corsi di perfezionamento. Ebbene, grazie a Ghouta chi parla più di mattanze ebraiche a Gaza?  E neanche di porcate di Facebook contro la nostra incolumità-privacy-libertà?

Quel demente di Putin…
Allargando lo sguardo a un altro settore del cottolengo puntato da Usa e soci, si elevano in tutta la loro agghiacciante demenza il presidente di 150 milioni di russi, appena riconfermato con un adesione che nessun governante occidentale si sogna, il suo servizio di intelligence, fin qui considerato uno dei più professionali del mondo, e il suo popolo che agli altri due tributano un’ irresponsabile fiducia.  Cosa  fa Putin mentre le armate Nato bussano a tutti i suoi confini, su di lui si abbatte un ciclone mediatico  di odio, calunnie, falsità, deformazioni, invenzioni, di tutte le camarille giornalistiche dell’Occidente  e ogni elezione andata male viene attribuita ai malefizi dello “zar del Cremlino” (salvo poi, oplà, risultare originata dagli occidentalissimi Facebook e Cambridge Analytica)? Cosa fa l’autocrate di Mosca mentre sta come al circo la partner del lanciatore dei coltelli, solo che stavolta quello prova a coglierci?
Il supermago dei vecchi servizi ordina ai supermaghi di quelli nuovi di beccare un vecchio arnese russo dello spionaggio britannico, sparargli un po’ di gas nervino con il logo “made in Russia”, per bonus extra spararne un po’ anche a sua figlia in visita dalla Russia, e ottenere che il Russiagate, finora mantenuto nei limiti di una mano elettorale data a Trump, Brexit, Di Maio e Salvini (ora entrerà in lizza anche Orban), esploda come uno Zeppelin su tutto il pianeta, con fiamme che ci si ripromette avvolgeranno l’intero “impero del male”.


E meno male che c’è Bolton
Come farebbero i reggitori del mondo libero, civile, democratico a vincere il confronto con la barbarie se non avessero di fronte antagonisti con tali eccelsi quozienti d’intelligenza? Come farebbero a portare avanti la loro battaglia per i diritti umani, contro le molestie alle donne, l’odio per Hillary, Boldrini e Asia Argento, contro i fascisti perennemente risorgenti. contro i bulli a scuola, contro chi, rigettando il neoliberismo dei “liberal”, precipita nella regressione del sovranismo, dell’egoistica autodeterminazione, del rifiuto del multiculturalismo che si ottiene attraverso il ginnico movimento di popolazioni sollevate dal loro obsoleto contesto storico, contro chi, insomma, si oppone al miglioramento della razza?
Come farebbero senza quelli, modernamente di destra, che astutamente si fanno passare per sinistra (parlo del manifesto e di chi il giornaletto sorosiano tiene per “quotidiano comunista” e ci scrive, vero Manlio Dinucci?), mollando quella zavorra che non sa stare a tavola, non si veste UE e vota populista. Quella destra rigenerata che da George Soros si è fatta insegnare come per gabbare lo santo e farla finita con la festa della pace imbelle, della sovranità affidata al popolino, dei diritti degli scansafatiche, del rispetto tra Stati, basta calcare la penna o la voce quando si scrive o si dice “sinistra”. Dite che il trucco si vede? Non quando da mane a sera (gli smart dicono h24) ti sventolano sul muso la bandiera arcobaleno dei diritti umani con al centro Asia Argento che si bacia con la Boldrini.

Statista Usa


Come farebbero a sventare le mostruose macchinazioni contro l’umanità di  questa baraonda di squinternati se non disponessero della sollecitudine di un Bolton che da sempre perora l’annientamento nucleare di Stati delinquenti come Iran e Nordcorea; se non ci fosse un Pompeo che, da capo Cia, con la sua sezione eugenetica era riuscito a modificare biologicamente i testicoli degli agenti nemici in granelli di popcorn; se non ci fosse una Gina Hagen che, nelle carceri segrete Cia in Tailandia, ha personalmente provveduto a rimuoverli del tutto, quei coglioni?

Watchdog di chi?
Come farebbero senza la stampa a edicole e schermi unificati, bellezza? Per modelli supremi di giornalismo watchdog del potere vanno presi organi che, come il New York Times o il Washington Post osannato dal noto lobbista Spielberg, invece sono da sempre  watchdog del lettore, le zanne le affondano nel lettore che, osando divergere, diventa bodrinianamente un “hater”, odiatore. E male gliene deve incorrere. Lo sanno bene il “manifesto” e la sua lobby. Tanto bene che quando a Michele Giorgio, corrispondente a Tel Aviv, incombe l’onere di stigmatizzare le carneficine israeliane a Gaza, istantaneamente il giornale rigurgita di rievocatori della Shoah, delle infami leggi razziali, dell’antisemitismo che infesta l’Europa come la peste del 1630, o la spagnola del 1917. Si ristabilisce lo squilibrio.

Di qua Netaniahu, di là Soros

Del resto si tratta di una divisione dei compiti. Sta diventando di evidenza solare la competizione tra due tendenze storiche dell’ebraismo, una nazionalista e una mondialista. Non è questo il momento per andare ad analizzarne le origini, i teorici, gli esecutori. Ma da una parte c’è lo stato europeo (di semiti ci sono solo gli arabi convertiti) fondato in Palestina con le sue mire espansioniste e il ruolo di sorvegliante della regione del petrolio e delle marche al confine tra impero occidentale e il resto del mondo. E qui ci sono i Begin, gli Sharon, le Golda Meir, i Ben Gurion, tutto il cucuzzaro terrorista e guerrafondaio del Grande Israele, fino a Netaniahu. Dall’altra parte c’è la globalizzazione imperialista, stadio supremissimo del capitalismo transnazionale che, con la forza delle armi, della sorveglianza e del dollaro, deve travolgere statualità, comunità, identità, sovranità, per un unico governo mondiale di spirito talmudista. E qui, dall’oceano di ricchezza e potere chiamato Wall Street, svettano i Rothschild, i Warburg, i Barclay, i Goldman Sachs, i Rockefeller e il formidabile braccio operativo Soros.


Quando il grande giornalismo è investigativo
Torniamo alla stampa, baby. Particolarmente valida è ovviamente quella investigativa. Chi, investiga meglio nelle botteghe, nei retrobottega e negli scarichi del regime? Chi giorno dopo giorno, non risparmiando mai nessuno, fa le pulci ai notabili corrotti, ai trasformisti, ai tagliaborse parlamentari, ai palloni gonfiati, ai ciarlatani e saltimbanchi tra Senato, Montecitorio e Palazzo Chigi, non risparmiando neppure i potentati di economia, banche, industria. Nessuno come lui, Marco Travaglio! E “Il Fatto Quotidiano”. Non per nulla su Ghouta apre a tutta pagina: “Il gas di Assad fa strage”. Perbacco che precisione, tempestività, controllo di tutte le fonti. E naturalmente Trump deve fare “la voce grossa”, Tale Fabio Scuto ci dimostra, indagini indipendenti alla mano, che “Assad se lo può permettere dato che Trump ha annunciato il ritiro delle truppe Usa” (curioso, proprio alla vigilia della strage chimica. Ci ha fatto una bella figura di moderato). Ora però, con questi crimini di Assad, tutto cambia, per forza, e ci si può dare dentro, il Male Assoluto, con i suoi missili pirati, ha dato il via, 17 morti …), E poi, sempre Scuto, Assad “non ha fatto che ripetere l’attacco chimico su larga scala del 2013” e ora si appresta  a “fare pulizia dei gruppi islamisti sul Golan e a Idlib”. Del resto, “Assad è libero di massacrare, uccidere(massacrare non basta), bombardare e devastare ogni enclave dell’opposizione”.

Da “tagliagole” a “opposizione”
“Opposizione”. Ricordate quando di quella che oggi chiamano opposizione giravano i video con civili e soldati siriani, libici e iracheni scuoiati, linciati, impiccati, crocifissi, chiusi in gabbia e incendiati o affogati? Oggi “Opposizione”, un po’ come i laburisti a Londra. Un po’ come quella di Travaglio a ogni fake news, bufala, balla, panzana. Grande giornale investigativo. Che però, non batte nessun altro giornalone, servizio tv. Tipo quello di Sky, all’indomani di Ghouta, dove tale Coen (!) passeggia lungo la Skywall commentando immagini di orrore bellico. La prima è la bambina al napalm del Vietnam. Lontanissima, sbiadita, ma accredita tutte le altre, tutte di orrori commessi da nemici degli Usa. Ovviamente comprese le foto da studio di morticini in spiaggia e bimbi sanguinolenti in ambulanza, icone anti-Assad al merito dei soccorritori Cia Elmetti Bianchi, fino a alle bambine schiumanti e sotto docce purificanti a Ghouta, sempre degli Elmetti Bianchi. Quei credibilissimi Elmetti bianchi fondati dal mercenario inglese Le Mesurier, finanziati dai governi di Londra e Washington  e che, imparzialmente, compaiono solo nelle aree in cui poi possono fraternizzare con i terroristi.


Alla convention di Ivrea i 5 Stelle hanno cacciato Jacopo Iacoboni  della Stampa che si stava intrufolando con badge taroccata. Iacoboni scrive sul giornale che gareggia con Repubblica (stessa proprietà De Benedetti-Sion, dopo la fusione in “Stampubblica”) per chi è più filo-Stato Profondo Usa ed è diretto da Maurizio Molinari che ha tutti i titoli per rivendicare la palma di direttore più filoisraeliano dopo quello del Jerusalem Post. Chi si è erto indignato e zeppo di prosopopea contro questa esclusione della sacra categoria, contro questo liberticidio, è stato Enrico Mentana. Passi per lui, grande funambolo tra specchi veri e specchi deformanti, ma gli è venuta dietro, come al pifferaio di Hamelin, tutta l’armata dei galli del pollaio della nostra quotidiana disinformazione, cresta rossa, gonfia e inalberata. In testa, a bandiere di libertà di stampa spiegate, Federazione della Stampa e Ordine dei Giornalisti. Farebbero bene, prima, di sciacquarsi la bocca e, poi, a sputare quel nugolo di parassiti della verità di cui vantano la rappresentanza. A dispetto delle parecchie cose dei 5 Stelle più recenti  che mi sconcertano, compresa la grottesca e impropria esaltazione del fortilizio Nato Estonia a Ivrea, con la cacciata di Jacoboni ho solidarizzato.

Manifesto, Repubblica e Hillary, uniti nella  lotta
Epitome di tutto, in mancanza, il lunedì, del sinistro ma omologo “manifesto”, è la prima pagina de “La Repubblica”. Sembra composta da qualche emissario del rettilario che abita nei bassifondi (politici) di Washington. “Attacco chimico, una strage, Trump: Assad animale, paghi”; “Ordini e divieti, la burocrazia del Califfato” su come amministra e governa, quasi decentemente, il mercenariato jihadista degli Usa; “Non si ferma l’onda nera di Orban”. Vedeste, a proposito di “haters”, il “manifesto”! Onda ovviamente nerissima per il giornale che ha per figure politiche stelle polari come Hillary Clinton, George Soros, e i rivoluzionari democratici serbi, libici e siriani. “Despota xenofobo e illiberale” (detto da chi ha quei riferimenti, è convincente), visto che Orban preferisce Putin a Trump e qualsiasi ungherese a Juncker, governa uno dei paesi con maggiore crescita e minore disoccupazione, ha elevato il livello di vita delle classi lavoratrici, ha più immigrati per abitanti di qualsiasi altro paese europeo. Tutta roba che si direbbe di sinistra, epperò ha messo sù un muro, é sovranista, anche se un po’ meno di Usa, Israele, Germania, Francia, UK, Vaticano, ha cacciato  i sinistri di Soros e, dunque, è di destra e, per Furio Colombo, un nazista.

Non poteva mancare il richiamo in prima, con tanto di ritrattino carino, “Asia Argento, Laura Boldrini: Perché in Italia MeToo (sapete, quella gigantesca operazione di vittimismo da guerra anti-maschio) ha perso la sua battaglia… abbiamo l’obbligo di aiutare le donne a reagire”. Detto da queste due, imbarazzante. Per le donne, prima ancora che per tutti gli altri generi.

La grande zucca

Il meglio di sé, Calabresi Jr, direttore del tabloid scandalistico, lo dà nelle due pagine interne dedicate alla provocazione Usa-UK-Francia-Israele-Saudia. E il supermeglio lo dà uno che l’universo mondo dei boccaloni considera il trombone d’oro del giornalismo, non per nulla presente in tutte le vetrine tv ispirate a Bilderberg. Se il commentatore dozzinale della stampa dozzinale, cioè di regime e impero, è il gonzo, dalla grossolanità evidente a chiunque non abbia il naso otturato da fumi sinistri, Vittorio Zucconi è il ganzo che ti avvolge nella garza profumata del pietismo e dell’aborro “da Sarajevo a Douma, quelle sporche guerre sporche”. E già si è parato il culo e a te ha somministrato la vasellina.

Al termine di tre colonne di geremiadi autocelebranti la propria integrità morale, ecco “in cauda venenum”: “A Douma sotto le bombe di Assad, si muore asfissiati anche per noi”. “Venenum anche in medio”, però, dato che la correttezza professionale, alimentata anche dalle approfondire inchieste non condotte sul campo (impedite dall’ONU/ Usa) e corroborata dagli esperti russi che sul luogo hanno trovato né gas nervino, né cloro, ma solo acqua e fumogeni e bambini attaccati all’ossigeno, non lo esime dall’aggiungere qua e là lo stesso concetto: “Bambini asfissiati dalle bombe di Assad… linea rossa delle armichimiche che Assad superò impunemente… l’apoteosi più sporca del sudiciume bellico…”. Cazzo, come gliele canta alle sporche guerre, il grande giornalista!

Chi prevede, chi benedice
Ma almeno Zucconi parla ex post, qualcosa dell’accaduto il suo talento di analista deve averlo pur immaginato per scrivere tutte quelle cose così tranchant. Altri, dotati di preveggenza, hanno parlato addirittura ex-ante. Come quel Tiresia sciuffellato di Boris Johnson, o quella creatura da laboratorio Bilderberg, Emmanuel (dall’ebraico “Dio è con noi” e pour cause) Macron, che avevano annunciato pioggia di fuoco su Assad qualora osasse usare armi chimiche. O come la stessa Chiara Cruciati del “manifesto” che, nella sua incontinenza orgasmatica per i toy boy curdi degli Usa, tra cui intravedeva inesistenti assiri, turcomanni, drusi, venusiani, riuniti in democratica, ecologica, femminista federazione, mai ha notato che questi confederali hanno fatto pulizia etnica e consegnato un terzo della Siria e 10 basi agli americani. Dal che andava dedotto che Assad è un farabutto nazionalista,  che addirittura assediava la povera Ghouta piena di donne e bambini.

Quanta sintonia!  Anche con Amnesty che a pochi giorni dalla bufala di Ghouta, come sempre trescava con chiunque volesse far fuori siriani e Siria lanciando disperati appelli a fermare il genocida assedio di Assad a Ghouta. Non mancava che la sanzione suprema. Quella dell’autorità più alta, incorruttibile, sacra. E Bergoglio non si è fatto pregare. A poche ore dal botto di Ghouta ha fatto lo Zucconi: “Basta guerre!” Ma, soprattutto, “Basta armi chimiche nelle bombe”. E benedetto sia chi le ferma. Chiedetevi chi, in Siria, ha aerei e lancia bombe. E poi non stupitevi dell’allineamento di un prete che in Argentina condivideva fasti e nefasti della dittatura. Del resto, com’è che si chiama Macron?



FANTASTICO SPUTTANAMENTO DI TUTTA L’OPERAZIONE “ATTACCO CHIMICO A DOUMA”!!!

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Al link qui sopra trovate la prova decisiva, sconvolgente, inconfutabile, di quanto falsa e infame sia stata l’accusa ad Assad di aver bombardato con armi chimiche la cittadina di Douma. Si vede una sede della brigata di jihadisti asserragliata nell’ultimo fortilizio di Al Nusra nella provincia di Ghouta, in cui persone lavorano dietro un tavolo, altre persone appaiono sfaccendate e molti bambini giocano a palla. Improvvisamente viene fatta suonare la sirena di un allarme aereo e i ragazzini e bambini, come per un esercizio perfettamente imparato in prove, si buttano per terra e si fingono morti o morenti.
Immediatamente compaiono sanitari in camici bianchi a somministrare soccorsi, soprattutto mascherine d’ossigeno e schiumogeni da far poi uscire dalle bocche delle “vittime”.

Nel 1912 in Siria, a Homs, avevo visto un filmato dello stesso genere: istruttori adulti disponevano corpi di minori e bambini sul pavimento e con una sostanza rossa gli dipingevano addosso del sangue”. Dopodichè arrivavano le telecamere dei media amici a riprendere “l’ennesima strage di Assad”. Lo si vede nel mio docufilm “Armageddon sulla via di Damasco”.Allora né la Turchia, né l’Arabia Saudita, né i servizi uccidentali avevano ancora insegnato ai jihadisti di fabbricarsi armi chimiche (poi da loro sperimentate su conigli, come illustrato da un altro video che a suo tempo avevo messo in rete).


E’ sulla base di una “prova” come quella recitata dagli attori di una presunta strage chimica, definitivamente smascherata da questo e altri video, che una conventicola di gangster, autodefinitisi donne e uomini politici, capi di Stato, primi ministri, ministri, dei più potenti Stati occidentali, sostenuti nei loro crimini da uno sterminato coro di cortigiani, servi, prostitute, pali, politici e mediatici, si preparano a fare altri milioni di morti, frantumare e spezzare via un altro paese e poi altri paesi ancora.

Non ci basta? Non ci basta per utilizzare ogni nostra residua energia, rabbia, odio (sì quell’indispensabile odio che le Boldrini e gli Zuckerberg vorrebbero esorcizzare, con quanto resta di conflittualità, in quanto offensivi nei confronti dell’establishment), forza, rispetto per noi stessi e per l’umanità  e lanciarla contro i responsabili di queste efferatezze e quelli che gli tengono bordone?

Questo è un appello che ho scritto per la Lista Comitato No Nato.

Gli Usa, il Regno Unito, la Francia, Israele, con la Nato al seguito, dopo averlo minacciato, preparano un attacco alla Siria, Stato arabo laico, democratico e socialista  ancora in piedi dopo 7 anni di aggressione e massacri, attacco che inevitabilmente coinvolgerà i suoi alleati, russi, iraniani e Hezbollah e non potrà non provocare reazioni e  culminare in una catastrofe planetaria, addirittura nucleare.

Coloro che promettono di attaccare sulla base di un’evidente macchinazione provocatoria, come quella dell’ennesimo presunto uso di armi chimiche a Ghouta da parte di Assad, proprio nel momento di una sua decisiva vittoria sul mercenariato jihadista, sono gli stessi che hanno trascinato il mondo in guerra dopo guerra sulla base di bugie, falsità, inganni, come le armi di distruzione di massa di Saddam, la responsabilità per l’11 settembre dell’Afghanistan, i bombardamenti sul proprio popolo di Gheddafi e Assad. Procedono alla distruzione e sottomissione di qualsiasi elemento statuale non allineato, causando milioni di morti innocenti e inenarrabili devastazioni. Ognuna di queste operazioni costituisce un crimine contro l’umanità.

Oltre al martirizzato popolo siriano, oggi è a rischio l’intera umanità per il fanatismo bellico e la frenesia di potere e ricchezza dei dirigenti di una minoranza che pretende di definirsi “comunità internazionale”, rappresentandone non più del 17%. Di fronte a questa corsa verso il suicidio planetario siamo finora rimasti attoniti e passivi. Se non è ora il momento per sollevarsi in massa, senza distinzione di ideologie e posizioni geopolitiche, riprendendo il filo di una lotta contro gli sterminatori, i profittatori di guerre e genocidi, gli schiavisti di un’economia che per affermarsi travolge popoli, nazioni, pezzi di mondo, domani non lo è più di certo.

Muoviamoci, organizziamoci, ribelliamoci, denunciamogli assassini e i loro complici. Assediamoli! Fermiamoli! Ne va della vita.

Lista Comitato No Nato.

CON LA SIRIA, CONTRO I GANGSTER, CONTRO I CERCHIOBOTTISTI

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Chi si illude che con gli attacchi missilistici di sabato l'Idra Usa-UK-Francia-Israele-Arabia Saudita abbia concluso un genocidio in Siria che va avanti da 7 anni, mena il can per l'aja. Questi regimi-gangster sono impegnati a spazzare via, con il mondialismo delle armi e dell'economia, ogni realtà statuale e nazionale dissidente e a ricostituire il colonialismo dei secoli precedenti. Non mollerano l'osso se non quando costretti dai costi eccessivi .o da un rifiuto di massa nel mondo. Come col Vietnam.

Per ora l'infinita resilienza e il fantastico coraggio dei combattenti siriani e di tutto quel popolo, guidato da uno straordinario presidente, l'impegno eroico di Hezbollah e degli iraniani, la generosa e preziosissima assistenza dei russi (quando finalmente i sistemi di difesa antiaerea S-300 e 400?), hanno tenuto testa all'Uccidente, ai suoi vassalli, ai suoi sguatteri (noi).



E' ammissibile che si rimanga alla finestra a guardare altri battersi per noi, per la salvezza di tutti? Riusciremmo ancora a guardarci allo specchio?

AUTOSPOT, si può dunque ignorare, saltare, obliterare…

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Avrei voluto scrivere ancora qualcosa sugli accadimenti in Siria, ma molte cose corrette sono già state scritte e diffuse e credo che tocca aspettare un po’ per vedere cosa emerge dal contradditorio comportamento delle potenze coinvolte. Di certo nessuno dei gangster aggressori considera la prospettiva dell’abbandono, del compromesso, della sopravvivenza della Siria così com’è e come il suo popolo e il diritto internazionale vogliono.
Nel frattempo, avendo tra i miei interlocutori e amici anche alcuni residenti in Germania e magari ce ne sono anche altri che seguono questo blog, segnalo un’interessante iniziativa del Dipartimento Federale per la Cultura Politica, patrocinata dal Capo dello Stato, Steinmeier. Ad Aquisgrana si apre venerdì 20 aprile la mostra

“LAMPI DEL FUTURO
L’arte dei sessantottini, ovvero il potere degli impotenti”

Si tratta di un’esposizione (20/4/18 – 19/8/18) di arti figurative e opere letterarie di protagonisti, attivisti, osservatori, analisti, storici del movimento 1968-1977 di vari paesi, a cui, per l’Italia, sono stato invitato a partecipare con un testo sulla mia esperienza quale giornalista e militante di quel movimento. L’inaugurazione, con la presenza degli autori, avrà luogo giovedì 19 aprile.
Quel testo è diventato un libro, “UN SESSANTOTTO  LUNGO UNA  VITA”, edito da Zambon (www.zambon.net) e pubblicato sia in italiano che in tedesco.
La prima edizione del libro, che a suo tempo mi sono permesso di segnalarvi, è andata esaurita in pochi giorni, segno che l’argomento, il ricordo di quel tempo e di quel fenomeno rivoluzionario, non hanno perso interesse e continuano a produrre stimoli ed esiti. Per cui, insieme all’editore, abbiamo ritenuto di arricchire il lavoro di nuove storie, ricordi, riferimenti, nuove riflessioni, anche di maggiore attualità, sottolineando quanto ancora ci collega e quanto ci separa da quel cruciale momento storico. Così, fra qualche giorno nelle librerie si troverà la seconda edizione di “Un Sessantotto lungo una vita”, lunga quasi il doppio della prima.



25 APRILE: LIBERATORI E INQUINATORI

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Onore all'Anpi. Stavolta.
Va reso onore all’ANPI per aver resistito, a dispetto di passi falsi anche recenti (Regeni, mercenari curdi e altre truffe CIA, Amnesty e HRW), all’immane pressione della comunità ebraica romana perché bandisse dal corteo della Liberazione il popolo palestinese, più di tutti oggi simbolo della lotta di liberazione da domini nazisti e ultranazisti. Non solo, dietro alla protervia escludente della comunità ebraica romana, era percepibile la mobilitazione di tutto il mondo talmudista. L’ordine di servizio della lobby  era di seppellire nel silenzio, nel disprezzo e nell’anatema dell’ “antisemitismo”, chiunque, in qualsiasi angolo del pianeta, osasse sollevare critiche allo Stato monoetnico, dunque razzista, xenofobo, nazionalista (e pure sovranista, accusa mossa a chi mille volte più di Israele ha titoli per rivendicare autodeterminazione). Uno Stato illegale dalla nascita, incistato in Palestina per volontà delle potenze impegnate nel nuovo ciclo colonialista. Stato e società che di venerdì in venerdì, con i loro robocop Tsahal in stato di esaltazione omicida, si diverte a fare mattanze di inermi.

Antisionisti uguale antisemiti è come antifascisti uguale antitaliani
Il teorema anti-sionismo uguale antisemitismo, uno dei pilastri della mobilitazione tesa a oscurare lo strisciante genocidio dei palestinesi, è abusivo e ricattatorio per due ragioni inconfutabili. La stragrande maggioranza degli ebrei in Palestina e nel mondo non è semita, ma eurocaucasica (vedi Shlomo Sand “L’invenzione del popolo ebraico”). Semiti sono gli arabi e, quindi, anche coloro che si sono convertiti alla religione ebraica (sefarditi). E parlando di semiti si parla di gruppo etnico e linguistico (leggenda biblica: i discendenti di Sem, figlio di Noè, poi installatisi in Medioriente e Nordafrica); mentre sionisti sono coloro che propugnano lo Stato di Israele, Sion, in termini di assoluta purezza di comunità e religione.

Assicurato il disinquinamento di una manifestazione dedicata alla vittoria sulla schiavitù, quanto meno mentale, da una presenza, non connotata da fede, storia o identità comunitaria, bensì da incondizionato sostegno a Israele, cioè a chi nega costituzionalmente, socialmente, politicamente, economicamente, culturalmente, la libertà alla terra invasa e occupata e al popolo oppresso, incarcerato e falcidiato da 70 anni, avremmo apprezzato la bonifica del corteo da parte di correligionari o ex-correligionari di quegli inquinatori. Avremmo applaudito di tutto cuore ebrei come il già menzionato Sand, i Finkelstein,  Pappè, Atzomon, gli Ebrei italiani contro l’Occupazione e la tanta parte della comunità che non sottosta ai ricatti dei caporioni romani. Ebrei dotati di tanto coraggio quanta non ce l’ha il “manifesto” quando pubblica certe oscenità (vedi sotto).


Perché da bonificare e disinquinare, in questo fortemente autocelebrativo e depistante 25 aprile, ce n’è stato quanto nelle stalle di Augia. E di Ercole impegnato a rimuovere le scorie s’è vista l’ombra solo nello spezzone palestinese e in quanti, anonimi, sinceri, senza i cronici cerchiobottismi dell’opportunismo sinistro, a quella causa ispirano la loro partecipazione.

Quelli che W il 25 aprile e W la Nato
Al macero gli sbrodolamenti ipocriti di partiti, movimenti, conventicole, centri sociali sclerotizzati, giornali di regime (tutti) che un piede hanno inserito nella marcia e l’altro lo tengono fermo nella staffa dei cavalli dell’Apocalisse impegnati a polverizzare popoli e desertificare paesi attribuiti a “dittatori”, “violatori dei diritti umani”, “minacciosi”, “utilizzatori di armi di distruzione di massa e chimiche”, “omofobi”.  Sul “manifesto – e dove se no? – un lettore vomita un confronto infame e glielo pubblicano pure. Claudio Della Seta spiega così la defezione della sua comunità al corteo del 25 aprile. I nonni degli attuali ebrei italiani furono partigiani, quelli degli attuali palestinesi erano alleati di Hitler le cui armate comprendevano anche la “famigerata brigata musulmana il cui stemma era estremamente simile all’attuale bandiera palestinese”. Simpatico, innocente accostamento di un imparziale analista. Quindi bene i sionisti per il 25 aprile, fuori i filonazisti palestinesi.

Gioco sporchissimo, caro Della Seta, che due aspetti trascura: quei partigiani ebrei venivano dalla Palestina mandataria del Regno Unito. Erano coloni insediatisi, anche con la complicità di Hitler, in terra altrui, terra che avrebbero rubato, martirizzato e svuotata dei suoi titolari, procedendo poi alla graduale eliminazione dei rimanenti; quei sionisti d’antan erano inquadrati nelle truppe di coloro che, sabotando la resistenza patriottica italiana, progettavano per il nostro paese una “liberazione” che si sarebbe chiamata Usa, NATO, UE, mafia, capitalismo barbaro, multinazionali, svendita, deculturizzazione, desovranizzazione, precariato, miseria, esclusione dalla Storia. Mentre a vantaggio della pace e dei diritti umani in Medioriente disegnavano ciò che abbiamo sotto gli occhi: lo Stato più razzista, antidemocratico, escludente, sanguinario, del mondo.


Se quel tratto di fogna tracciato da Della Seta sul noto “manifesto”  che, accanto a una foliazione strabordante su quanto è fico il 25 aprile e quanto lo sono le ragazzette che ti sorridono dalle foto, non abbandona la sua missione di forza di complemento dell’imperialismo, mi ha colpito come l’intervento più nauseabondo, ma anche caratterizzante, tutto il resto delle celebrazioni è stato pura ipocrisia, vuota retorica. Dei peggiori e dei meno peggio. Degli eterni amici del giaguaro e utili idioti.Cacicchi e bonzi di questeistituzioni, di questi partiti, di queste associazioni e Ong, di questi giornaloni e schermi, dai microbi di PAP ai giaguari smacchiati del PD agli albatros oceanici, mutatisi in gabbiani di cassonetto, dei 5 Stelle, tutti d’accordo su Assad “dittatore sanguinario” e quindi pronubi , nolenti frignoni o volenti mercenari, di Nato, UE, euro, guerre, macellerie, operazioni di sradicamento e deidentificazioni dette migrazioni, nichilismo.

Con in testa, a bandiere arcobaleno garrenti, i due atlantisti dell’opposizione: “il manifesto” e “Il Fatto Quotidiano”. Senza dimenticare il giornalone per eccellenza (nel senso di "degno di Pulitzer di servizio", imperialmente indipendente al pari di New York Times e Washington Post, Pulitzer premiati per antigiornalismo), Corriere della Sera. Una Gabanelli, icona sacra nazionale della stampa libera e critica, a conferma della sua natura di gigantesco “misunderstanding”, vi erutta menzogne, falsità truculente, schifezze grottesche, totalmente inventate, su Siria e Assad, così rozze che manco avesse scritto con in testa le cuffie di un propagandista Mossad al decimo whisky. Non è la prima volta della signora!

Assad tra i vincitori di Deir Ez Zor

Basta bassezze. Per noi la “Liberazione” con la elle maiuscola, quella della memoria formale e dell’oblio sostanziale, ha prodotto quanto abbiamo accennato sopra. E non poteva che essere così, dal momento in cui è stata sottratta alla resistenza partigiana e consegnata, mani e piedi legati, agli invasori coloniali anglosassoni e alla cupola che vuole decidere i destini dell’umanità.

Liberazione? Stare con Assad e con Kannelos
Per noi la Liberazione con la elle maiuscola dovrebbe vedere sfilare per le strade nostre e del mondo i combattenti siriani, con in testa Assad, quelli libici con l’effigie di Gheddafi (tanto per rallegrare le due gentili signore che ne hanno decretato l’eliminazione: Rossanda e Clinton), quelli iracheni con l’K47di Saddam, quelli afghani con le tuniche dei Taliban, quelli yemeniti con la jambiya (pugnale degli Huthi), i greci dei sette anni di lotte in piazza Syntagma con davanti il cane combattente Kanellos, per tutti gli animali non liberati dalle sevizie dell’uomo…,


… i venezuelani che resistono ai golpe striscianti dei divoratori dell’America Latina, gli honduregni e messicani in  lotta di liberazione dai narcos che gli Usa hanno installato al loro governo, gli indiani d’America, con Cavallo Pazzo e Toro Seduto, sopravvissuti al più grande olocausto della Storia, gli africani, arabi, asiatici che i gangster mondialisti con Ong e Soros strappano dal loro contesto per infilarli in un tunnel senza luce mai. E poi tutti i NO della nostra liberazione dai distruttori di ambiente, comunità, salute, istruzione, lavoro, identità, autodeterminazione. A partire dai No Tav.

L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia è stata brava a respingere un osceno ricatto. Ma la prossima volta chiami anche tutti questi al corteo. Si tratta pur sempre di partigiani. Non su lapidi, in carne e ossa. Come i palestinesi che, per fortuna, ci sono. Con tanto di kefiah.






DISINFORMAZIONE, STATI ELIMINATI, EMIGRAZIONI E STRUMENTALIZZAZIONI: Un rappresentante dell'Islam scita intervista Fulvio Grimaldi

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Dare voce agli oppressi è possibile. Riflessioni fuori dal coro con Fulvio Grimaldi
 di Hamza Biondo
Raccontare la realtà è il suo mestiere, lo fa da quando aveva vent’anni, ha iniziato scrivendo sul taccuino con la biro, adesso usa la cinepresa e il computer, ma la passione è la stessa. Fulvio Grimaldi ha girato il mondo, presente nei luoghi e momenti cruciali, per documentare le crisi e raccontare storie di uomini, ingiustizie, speranze. Il mestiere di reporter imparato sul campo, lontano dai comodi alberghi per giornalisti embedded e senza dipendere troppo dai comodi escamotages offerti dalla tecnica. Una professione maledetta, in via di estinzione, Grimaldi ha difeso la necessità morale di “andare sul posto”. Un abitudine condivisa con celebri scrittori che, in veste di reporter, avevano come lui il vizio di frequentare i campi di battaglia, descriverli e tornare poi ai loro romanzi. I paesi che ha visitato sono tanti, è una lista che ricorda gli atlanti di un tempo, quando a scuola si studiava la geografia e le mappe evidenziavano gli stati con vivaci colori. Inviato stampa in Irlanda nel Nord nel 1972, testimone a Derry il giorno della Bloody Sunday, in Palestina per la Guerra dei sei giorni, poi negli anni lo troviamo in Yemen, Eritrea, Yugoslavia, Iraq. In mezzo tanta Africa e Centroamerica.  Avesse avuto la possibilità, lo avremmo visto a Little Big Horn, per raccogliere  la versione dei pellerossa e….anche quella di Custer. Ha collaborato con molteplici testate televisive e della carta stampata, fra le quali BBC, Rai, Nouvel Obersever, Abc, Panorama, Paese sera, Liberazione. Rapporti di lavoro e impegno politico che spesso si intrecciavano e a volte entravano in conflitto, perché documentare la realtà ha un prezzo e certe redazioni giornalistiche subivano quello che lui chiama “il tradimento dei chierici”. Allergico agli entrismi e ai golfini di cachemire della gauche caviar, Grimaldi ha bazzicato anche altri arti e mestieri. Documenta reati ambientali, scrive libri, qualche esperienza teatrale e un piccolo cameo in una pellicola che lo scrivente considera cult, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri.                                                                      Se ancora non lo avete capito, avremmo voluto parlare con lui di tante cose. Ci siamo accontentati per adesso di porgli alcune domande.  
Alexis de Tocqueville soleva dire : “La democrazia è il potere di un popoloinformato”.   Qual’è la realtà italiana ?
Il popolo italiano vive, come un pesce rosso, in una bolla di nulla contenuta in una boccia di menzogne. Ogni tanto, su questioni minori, compatibili con gli assetti del potere (sempre eterodeterminato), gli si fanno conoscere innocue verità, qualche difettuccio dell’oligarchia regnante, qualche errore. Appena si entra nella realtà geopolitica, che è quella che conta, la boccia diventa uno specchio deformante.
Assistiamo ad una rivoluzione del linguaggio, se prima la narrazione video si imponeva sul testo scritto, adesso è il momento della comunicazione digitale che accorcia le distanze e la sintassi. Ma una conferenza stampa puo essere sostituita da un tweet ? il mondo può essere raccontato con un hastagh ?
L’élite si serve delle nuove tecnologie, non solo per condizionare, sorvegliare, controllare, manipolare. E’ necessario distruggere il linguaggio, le sue articolazioni, la sua complessità. Lo si fa contaminandolo con espressioni straniere, perlopiù inglesi, perlopiù incomprese perché scisse dal contesto sintattico, ma soprattutto con la riduzione della comunicazione alla più elementare semplificazione. Appunto il tweet, l’sms, il chat. Più semplice ed elementare è il linguaggio, più semplice ed elementare, e dunque inerme e manipolabile, è il pensiero.
La falsificazione della Storia si costruisce gradualmente, utilizzando anche disinformazione e censura. Settanta anni dopo la “Nakba”, parola  che indica l’inizio del genocidio dei palestinesi, l’opinione comune ormai ignora le responsabilità storiche e confonde tra carnefici e vittime….
L’opinione pubblica, fortunatamente non tutta, è narcotizzata dal messaggio, pubblicitario come politico e storico. Il potere lo sa e pratica il martellamento del pensiero unico, della versione unica, da un paio di millenni. L’opinione pubblica è vittima del collasso di un pensiero e di una comunicazione alternativi, antagonisti. L’unificazione dell’informazione, dopo l’esperienza del Vietnam, dove la pluralità di notizie e versioni ha contribuito a determinare il fallimento dell’impresa colonialista francese e statunitense, la scomparsa dell’editore puro e la concentrazione dei media in mani di detentori di interessi e potere economico, militare, culturale, ha determinato questa situazione. Che ora viene perfezionata con la caccia alle cosiddette fake news, che non sono in essenza altro che informazione sgradita all’establishment. Per lo specifico della Nakba, la tragedia e il genocidio dei palestinesi per mano degli usurpatori e dei loro padrini sono stati efficacemente oscurati da due grandi operazioni pubblicitarie: la perenne riproposizione della Shoah, presentata antistoricamente come crimine unico e massimo, la minaccia dell’antisemitismo che spesso viene associato al terrorismo.
Con bombardamenti su popoli indifesi hanno devastato Siria , Libia, Iraq. Con le occupazioni militari hanno sconvolto società e modelli di convivenza antichissimi, distrutto mondi che non risorgeranno più. Chi sarà la prossima vittima ? Quali responsabilità ha il sistema politico europeo ?
Dall’ininterrotta demonizzazione propagandistica di arabi, Islam, Iran e Russia, non appare difficile dedurre su quali obiettivi propone di lanciarsi il bellicismo imperialista. Ce ne saranno altri, un po’ per volta, in Africa e America Latina. E’ la marcia della mondializzazione, la strategia per un unico, totalitario dominio sul mondo del capitale finanz-militarista occidentale. L’Unione Europea è nata per svolgere un ruolo ancillare in questo progetto. E’ sottoposta a un ininterrotto ricatto economico, militare, propagandistico per evitare che si stacchi da questa cospirazione occidentale e si renda conto che i propri interessi e la capacità dei propri popoli di scegliere autonomamente la propria via collocherebbe il continente in altro contesto geopolitico.
 Proviamo ad analizzare il fenomeno emigrazione fuori dal politicamente corretto e da strumentalizzazioni
Di questo fenomeno, di portata epocale, mi sono occupato on particolare impegno alla luce dell’enorme carico di mistificazione, nel segno ipocrita del buonismo e della solidarietà, che ce ne dovrebbe occultare i veri obiettivi. Basta pensare che un milione giovani siriani sono stati sottratti alla difesa e allo sviluppo del loro paese per fornire manodopera a basso costo per l’export tedesco, un paese complice della distruzione della Siria. Basta pensare ai 60mila contadini che vivevano in Etiopia lungo il fiume Omo, che ne garantiva coltivazioni, produzioni e vita e che da una megadiga italiana sono stati privati del loro fiume e quindi del loro futuro. Dove pensiamo che siano emigrati? Coloro che perorano ossessivamente l’accoglienza senza se e senza ma, parlando di fuga da dittature, fame, disastri climatici, trascurano di menzionarne i responsabili. Ma soprattutto cercano di non farci capire che le migrazioni sono un fenomeno manovrato dalle stesse potenze che hanno distrutto tanti paesi. Il primo passaggio della filiera dell’emigrazione, in coda alla quale ci sono le Ong finanziate dalle stesse forze del mondialismo, è la rovina dei paesi di emigrazione con gli strumenti della guerra e del saccheggio per mano delle multinazionali. Rovina che costringe a lasciare la propria comunità, le proprie radici, la propria cultura, il proprio futuro. Quasi sempre per incontrare una sorte peggiore di quella lasciata alle spalle. Nei paesi d’origine ci sono poi strutture di cosiddetta solidarietà, Ong, associazioni,organismi legati al colonialismo, che prospettano ai giovani false opportunità di lavoro e benessere in Europa. Le si reincontrano poi in mare, sulla via per la Sicilia.  All’imperialismo-colonialismo servono paesi da depredare e, quindi,svuotati delle giovani generazioni e di cui si disperde la civiltà e l’identità. Gli serve poi che una forza lavoro dalle infime esigenze abbassi il costo del lavoro nei paesi avanzati e vi provochi destabilizzazione. Credo che integrazione e assimilazione siano concetti colonialisti che sottintendono presupposti di superiorità razziale e culturale.
 Qualcuno diceva a proposito della vita “o la vivi, o la scrivi“Lei da anni è un professionista dell’informazione, viaggia e scrive molto, sembra contraddire questa affermazione….
Cosa posso dire. Da quando ho pensato di fare questo mestiere, intorno ai dieci anni, l’ho pensato come contenuto e significato della mia vita posti a confronto con i contenuti e significati offerti dalla realtà. Presto ho intravvisto la potenza di fuoco dei mistificatori della comunicazione. E presto, a partire dalla Guerra dei Sei Giorni in Palestina, dove sono stato inviato, ho capito chi manovrava e a cosa servivano questi mistificatori. Ma ho anche sperimentato la possibilità di mettergli i bastoni tra le ruote. Il seme della verità, che è quello che ci offrono i popoli oppressi, perseguitati, sofferenti, resistenti, spesso viene schiacciato e disperso, ma quelle volte che cade su terreno fertile esplode in una fioritura che cambia il paesaggio. Il giornalista deve provare a  fare da polline, sole e pioggia.






SIRIA –PALESTINA: CURDI IN SOCCORSO A JACK LO SQUARTATORE

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Sincronismi e sintonie
L’angolazione a cui dovrebbe interessare particolarmente guardare non è solo la natura delle azioni condotte dalle potenze uccidentali, dai loro protagonisti e dai gruppi di potere che li sostengono. Non è neanche in prima istanza il giudizio da dare sulla classe politica italiana, sulle forze economiche che ne determinano il comportamento e sui media che ne sostengono la linea. E’ la sostanziale omologazione che unisce e confonde tutti questi soggetti. Basta un minimo di maieutica per estrarre dal sincronismo  con cui operano, da Renzi o Orlando a Di Maio attraverso Bersani, Fratoianni, sociali avvizziti in basso a sinistra, da Repubblica e l’Espresso a il manifesto o il Fatto Quotidiano, da Mattarella a Bergoglio, da Confindustria ai sindacati, la constatazione di una sintonia strategica. Quella della visione del mondo atlantico-israeliana: i buoni in questa metà dell’emisfero Nord,  tutti i cattivi concentrati nell’altra metà e, disseminata  in tutto l’emisfero Sud, una mescolanza di brutti, sporchi, cattivi da abbattere, e poveracci disperati da soccorrere a proprio merito e profitto.

Chi tra i nostri gazzettieri fa caso a quanti venerdì di morte all’orlo del Lager Gaza sono trascorsi dal primo, con i relativi eccidi di innocenti inermi, a dispetto delle cifre agghiaccianti ( andiamo verso la cinquantina di morti e ai 5000 feriti? Vedi  https://www.mintpressnews.com/video-israeli-soldiers-shoot-unarmed-protesters-celebrate-on-camera/241137/  https://youtu.be/UhCUBcLWlWU

Gaza o Homs come Derry? Altri tempi
Il 30 gennaio del 1972 ero a Derry e vidi 14 giovani e vecchi falciati dai parà della Regina senza che ci fosse stata, tra 20mila famiglie manifestanti per elementari diritti civili, sociali, nazionali, un’ombra delle provocazioni poi attribuite da Londra e media a fantasmatici “terroristi dell’IRA”. L’unico fastidio che ai vecchi lupi mannari colonialisti poterono dare quei “terroristi” fu quando il loro capo a Derry, il 19enne Martin McGuinness, mio amico per una vita, mi trafugò verso Dublino e poi  Roma, consentendo così al mio materiale audiovisivo della strage di mostrarla al mondo e sbugiardare assassini e mandanti.

Chi mi  è compagno nella Terza Età e chi le si avvicina ricorderà come quella  carneficina, di “appena” 14 persone, gelò, commosse e infuriò l’opinione pubblica nel mondo, come suscitò riprovazione e condanna in tutti gli ambienti politici e mediatici, come strappò alla “madre della democrazia moderna” il velo di una probità presuntamente acquisita dopo i secoli del più feroce colonialismo della Storia, di cui Churchill, spargitore di sangue e macerie in quattro continenti, fu degnissimo e fiero epigono. Altro che Hitler.

Con Gaza e i cecchini di Tsahal, educati da una società degenerata ad esultare per il gol della pallottola che spacca il cranio a un ragazzetto, non c’è stato niente del genere. Ed è cento volte peggio di Derry, per dimensioni e continuità di genocidio strisciante. Ma niente del genere si vede da 17 anni per  una brutale occupazione degli uccidentali in Afghanistan (ora, per distrarre dalla  lotta di liberazione dei Taliban, diretta contro occupanti e loro sguatteri  hanno infiltrato anche qui i loro mercenari jihadisti facendone il pretesto per continuare a stare addosso all’Iran e al Pachistan e a ingigantire con l’oppio i profitti dei loro mandanti). Ci pensano i Giordana e Battiston, del manifesto,  a dare la linea al resto della compagnia a forza di donne oppresse dal burka e di società civile che vuole la pace (mica la liberazione nazionale) e per la quale invasori e guerriglia sono tutti uguali. I taliban un po’ meno.

Niente di paragonabile alla risposta ai bruti di Londra del 1972 s’è neanche visto per i giochi di guerra con cui anglo-franco-americani e razzisti monetnici israeliani garantiscono la loro bonanza futura, con vie del gas e del petrolio e trampolini geostrategici per ulteriori macelli militari, nella regione mediorientale. Missili  contro centri di ricerca si antidoti ai veleni di rettili, apocalisse di missili su centri militari di Aleppo e Homs per insegnare agli iraniani che vadano a fare solidarietà internazionalista da un’altra parte. Pirateria di una protervia senza precedenti, in violazione urlante del diritto internazionale, della Carta dell’ONU, di ogni convenzione ginevrina sui diritti umani e sulla conduzione di guerre e occupazioni.

Bufale disintegrate? Disintegriamo siriani


Viene alla luce del sole la bufala dell’avvelenamento degli Skipras a Salisbury, i due si riprendono (probabilmente era tutta una finta), ma vengono sequestrati e negati ai contatti esterni, il gas nervino risulta ignoto ai russi, ma famigliare ai britannici, è sempre più evidente che l’operazione è da attribuire ai servizi uccidentali per l’ennesima provocazione anti-russa. Tonfo colossale, ma la vicenda sparisce dai radar. Sempre di veleni farlocchi, o caricabili su altri da quelli indicati, si tratta a Douma. Ormai è un rosario di verità la successione di testimonianze di giornalisti, cittadini del luogo, ispettori dell’organizzazione ONU per le armi chimiche: la pantomima per cui si è andati a bombardare la Siria, prima che i controllori arrivassero per controllare (ovviamente), valeva quella che ha fatto passare per ribelli democratici e pacifici, i manifestanti made in Usa, Turchia, Cecenia, Marocco, della “primavera siriana” nel 2011 e seguenti.

O quella che ha voluto fare dell’agente in servizio permanente effettivo del Mossad-Cia, Al Baghdadi, il nuovo Osama, minaccia mortale dell’Occidente e, come il precedente, destinato a eliminazione finta sicura, vera di una sua comparsa, come quella di Abottabad, Pakistan, nel momento in cui, come Obama col vecchio socio Osama, Trump, o chi per lui, decidesse che sia arrivato il tempo per fregiarsi di una medaglia. Tutti questi sono crimini di guerra, contro l’umanità, megagalattiche prese per il culo della gente nel mondo intero, mostruosità di ferocia, cinismo, passi demenziali verso il baratro, ma chi se ne cale?

Socrate senza interlocutori
La maieutica di cui sopra è la tecnica socratica che consiste nel mettere il soggetto di fronte in condizione di scoprire la verità. Siccome il soggetto di fronte, diciamo l’interlocutore di sinistra, o comunque fuori dal coro, da qualche lustro si è dato al golf, il procedimento lo dobbiamo applicare a noi stessi: estrarre la verità dalla dissipazione delle nebbie nelle quali, da tutti i lati e da mane a sera, tutti siamo avvolti. E’ il sincronismo perfetto con il quale i media tutti, all’apparire dell’ordine di servizio, o, figuratamente, al fischio del pecoraro, si manifestano sintonici nella distrazione di  massa.

Il primo meccanismo del depistaggio è il silenziatore. Pensate che qualcuno si sia attenuto al principio di causa ed effetto, al più elementare cui prodest, a qualche motivo per cui, improvvisamente, la trimurti Usa, UK, Francia, più il licantropo israeliano, si siano lanciati con i missili sulla Siria, abbiano rinfocolato, con le grottesca esibizione del saltimbanco Netaniahu sull’imminente atomica iraniana, la prospettiva di guerra generale? Che abbia preso in considerazione motivazione interne? Esterne?

Chi glielo fa fare
A dispetto del crollo dell’enorme montatura del Russiagate, demolito dalla scoperta, da parte del Comitato Intelligence del Congresso, di un’operazione dei servizi britannici e del FBI, messa in atto con il contributo di 50 milioni di dollari del noto George Soros e di altri 7 tycoon miliardari di New York e California, Trump a casa sua è nelle pesti. Gli danno giù tutti: FBI, Cia e le altre agenzie, la cupola finanz-militare, i media, la conventicola hillariana e neocon, potente più che mai. La May non sta meglio: ridicolizzata dalla cantonata Skipras-gas nervino, in difficoltà tra i suoi e odiata in Europa per la Brexit, è messa all’angolo da un rinato Labour con Corbyn che promette di scompaginare gli assetti istituzionali, economici, sociali e…militari. A Macron, gioiellino atlantico-sionista confezionato dalla Cia su ordine della Cupola, brucia l’intera terra francese sotto ai piedi con la rivolta di quasi ogni categoria sociale, le università, i trasporti, le fabbriche e l’incubo maggio-De Gaulle all’orizzonte.



La regola del diversivo esterno, in termini di qualche crisi possibilmente bellica, fatto passare per minaccia alla collettività, è in casi come questi quasi l’unica via d’uscita dall’impasse.  Diverso è il discorso per Netaniahu che può, sì, contare sulla compattezza della sua base sociale per le imprese criminali che va compiendo senza soluzione di continuità. Ma, a casa sua, si trova braccato da una magistratura abbastanza indipendente che non esonererà né lui, nè la virago con cui ha commesso una sfilza di reati di corruzione e ladrocinio che gli fanno intravvedere il gabbio. Mentre fuori, c’è da stornare l’attenzione dalle periodiche  battute di caccia ai civili palestinesi  che turbano quel settore dell’opinione mondiale che sfugge  alle manipolazioni propagandistiche iniettate dallo Stato più terrorista del mondo e perfino l’ONU e, strumentalmente, la solitamente complice Amnesty International (c’è un limite al proprio discredito).

Palestinesi sparati, sport offeso, Bartali infangato

Non contenti di infierire sui vivi, gli israeliani riescono a violentare anche i cadaveri. Nella fattispecie quello di Gino Bartali, di cui mi vanto essere stato tifoso, anche perché staffetta partigiana che, tra i tanti nascosti e salvati grazie ai messaggi da lui trafugati in bicicletta, ha salvato anche ebrei. Ne hanno fatto, a sua insaputa (e avrebbe reagito con sdegno), cittadino onorario dello Stato terrorista e infanticida, a ulteriore scherno della morale e della dignità umana, come traditi dai miserabili che da quel Mordor hanno voluto far partire il Giro d’Italia. Ai lati della strada, con i volti girati dall’altra parte, gli uomini, le donne, i ragazzi uccisi a Gaza. Bartali non è riuscito a salvarli.

Vittoria? Occhio a Pirro

Gli obiettivi esterni della rinnovata e più diretta aggressione di questi tentacoli della piovra mondialista non hanno bisogno di essere ricordati. E chi si illudeva di poter cantare vittoria, insieme ad Assad e al più valoroso popolo del mondo in questo momento, per via di alcune riconquiste territoriali, dovrebbe  constatare che Nike ha, sì, le ali, ma, priva di testa, non si può sapere dove guarda e verso dove vola. Quello che vediamo nelle lande devastate che sorvola è un paese a pezzi che, incredibilmente, dopo 7 anni, non si rassegna e arrende, sul quale aumenta a dismisura il carico di morte e distruzione da parte di una coalizione, Usa-UK-Francia-Nato-Petromonarchie-Israele, sempre più salda e determinata a ottenere lo squartamento di questo formidabile caposaldo antireazionario e antimperialista. L’obiettivo finale resta la Russia, massima barriera al mondialismo e, come conferma l’ennesima buffonesca sceneggiata di Netaniahu, la Siria deve morire per sgomberare la strada verso Libano e Tehran.

Come coprire Mr. Hyde? Silenzio e curdi


Torniamo alla premessa iniziale: il sincronismo-sintonia dei media di destra e sinistra. Cosa ha prevalso su schermi e paginoni in queste temperie che travolgono la vita di vasti strati di umanità e pianeta? Di ogni. Dallo sfessante chiacchiericcio sui destini governativi della nazione, al bullismo cyber e no, alla minaccia del rinascente fascismo, dall’uragano anti-maschio “metoo”, alla nobiltà solidaristica dei trafficanti Ong nel Mediterraneo. Ma soprattutto concorde è stato l’utilizzo dello schermo curdo su carneficine a Gaza, spropositi anti-iraniani di Trump e Netaniahu, apocalissi missilistiche, genocidio in Yemen, schianto definitivo delle bufale chimiche in Inghilterra e Siria.

Paginoni curdi di Chiara Cruciati (”il manifesto”) di esaltazione di una nazione negata, per quanto modello di ogni virtù, di cui questa apologeta si affanna a rivendicare una vittoria sull’Isis semmai attribuibile a siriani e bombe Usa, e a metterne in vetrina fantasiosi multinazionalità, femminismi, ecologismi, democraticismi. Narrazioni sui giornaloni di volontari italiani, tipo brigate di Spagna, reduci dagli eroici combattimenti con i curdi. Trasmissioni come quelle sugli angeli curdi del buonista sorosiano di prima classe Diego Bianchi, detto Zoro, quello dall’insopportabile faccione eternamente in primo piano, in virtù di una perversa concezione estetico-narcisista.

Alla distrazione di massa dalle nequizie sopra elencate di chi ci governa e di chi li fa governare, si aggiunge, secondo i canoni della deontologia giornalistica italiota, l’occultamento di alcuni dettagli. Che il Kurdistan iracheno, già tranquillo, benestante e autonomo sotto Saddam, è un patriarcale feudo di narcos e contrabbandieri sotto totale controllo israeliano. Che dei curdi si vanta un valore combattente che alla prova dei fatti si è sciolto come neve al sole nella fuga da Afrin e nella battaglia per Kobane e Raqqa si è fatto fanteria mercenaria degli Usa, per poi ritrovarsi congiunta ai resti dell’Isis recuperati dagli americani e uniti alle milizie di ventura curde nella feroce pulizia etnica di terre siriane. Che i curdi hanno dichiarato ufficialmente la loro alleanza con Israele e l’Arabia Saudita. Vera e propria marmaglia al soldo dei nazionicidi che imperversano in Medioriente e nel mondo.

Facciamo gli “antisemiti”: sbugiardiamo Netaniahu
Resta da dire della commedia del tagliagole israeliano sull’atomica iraniana in progress. C’è qualche giornalista che, fregiandosi a ragione della qualifica, vi abbia detto che i documenti esibiti in tv dall’inquisito per ruberie Netaniahu e che vorrebbero dimostrare  come Tehran stia di nascosto preparando l’atomica, risalgano in effetti a prima del 2003?  E che si tratti di vecchi documenti sottratti all’AIEA?E che quei disegni di razzi in grado di trasportare ordigni nucleari furono fatti da scienziati, in termini puramente di ricerca, prima di quell’anno e prima che l’Iran firmasse, diversamente dal golem nucleare Israeliano, il trattato di non proliferazione? C’è soprattutto qualche Leonardo Coen, Furio Colombo, Chiara Cruciati, Guido Calderon, il russofobo di sinistra Yuri Colombo (vedi l’egemonia della lobby tra Fatto Quotidiano e manifesto) che vi abbia ricordato come da allora l’agenzia per il controllo del nucleare AIEA abbia ininterrottamente visitato i siti iraniani e confermato che l’uranio veniva arricchito solo al 20%, per fini energetici e medici (per l’atomica serve al 90%). E che, poi, dopo il trattato JCPOA con Usa e UE, ora morituro per volere israelo-saudita-Usa, l’Iran ha demolito la massima parte delle sue centrifughe e dei suoi siti (purtroppo, Ahmadinejad non l’avrebbe mai permesso) E, infine, che mezza dozzina di scienziati del nucleare civile iraniani sono stati assassinati dal Mossad?

Sarebbe stato giornalismo. Che non c’è. Elementare, Watson.








Quando si rischia di far male facendo bene

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Oggi a Milano corteo anarchici contro “l’Eni e le sue guerre”



Ecco un tipico esempio di qualcosa su cui tutti dovrebbero concordare, senza dubbi.
Invece i dubbi ci vogliono, data anche l’imperizia e la dabbenaggine di alcune forze partecipanti.

Nessuno mi potrà mai accusare di essere tenero con l’ENI e gli inquinatori fossili. Li combatto con il mio lavoro da decenni, in Rai, con il blog, le conferenze in giro per l’Europa e i miei documentari, ultimi sulla devastazione della Basilicata, sui gasdotti in Puglia, sulla passione fossile del regime Renzi, sulle piattaforme che distruggono Adriatico e Ionio, sulla proliferazione di serbatoi e scavi in zone sismiche  nel Nord Italia (vedi “Fronte Italia, partigiani del 2000”, “L’Italia al tempo della peste”, “O la Troika o la vita – Epicentro Sud”)....

Ma so anche che gli attacchi all’ENI (vedi Regeni, provocazione finalizzata a boicottare gli accordi ENI-Cairo sul giacimento di gas più grande del Mediterraneo, vedi la guerra alla Libia)  e alle sue tangenti ai governi produttori, sono qualcosa che piace moltissimo a coloro, tutti tangentari ben oltre l’ENI,  che ammazzarono Mattei e da allora conducono una lotta senza quartiere a un ente petrolifero che si permette di rompere le palle ai grandi dell’Occidente, a commerciare con la Russia, a pretendere spazi in Libia, Iran, Algeria, Egitto, Indonesia, Africa, a provare a sottrarre l’Italia al dominio delle multinazionali anglo-franco-americane e a impedirle di rifornirsi dal gas, più conveniente e vicino, della Russia. E un’operazione anti-Putin. Alla luce dell’Ucraina, del Donbass, della Siria, del Medioriente, è forse cosa buona, amici anarchici???...

Anche la parola d’ordine “l’ENI e le sue guerre”, è sbagliata, falsa e tendenziosa. Scagiona gli altri, dato che finora chi gli effetti nefasti delle guerre altrui ha subito è l’ENI, oltre in prima istanza, i popoli e gli Stati annientati. Preoccupante anche trovarsi nella stessa trincea di Milena Gabanelli, grande mistificatrice di regime, protagonista, con Report, di favori alle multinazionali e alle banche con trasmissioni contro l’ENI, ma mai contro l’Exxon o la BP, contro la Russia, per le banche con gli attacchi al contante e oggi, sul “Corriere”, istigatrice di guerre e delirante ripetitrice delle peggiori calunnie e falsità contro la Siria.

Quello che sfugge alle brave persone che vanno a questo corteo sono i due piani della questione, per cui occorrerebbe un po’ meno sicumera di posizioni impeccabili,un po’ più di attenzione alla complessità geopolitica della questione. Geopolitica di cui alcuni aspetti, quelli strategici e determinanti per rapporti di forza che non possono non interessarci, a molte brave persone sfugge, anche se poi gridano cose sacrosante contro imperialismo e colonialismo. L’incombenza della cosa buona, ma utile al nemico è sempre pericolo da considerare.

E’ lo stesso discorso che andrebbe fatto sulla complessità delle migrazioni, non esauribile nel buonismo dell’accoglienza, tanto gradita a Soros, al NordEuropa e agli Usa, compiaciuti di indebolire e mandare a ramengo i piccoli competitori del Sud, ma da esaminare nei suoi aspetti strategici di grande operazione neocolonialista di svuotamento di paesi da rapinare, di deidentificazione di popoli da disperdere nel vento e di destabilizzazione di paesi da mandare alla deriva: in una parola, distruzione di tutte le sovranità sociali, produttive, ambientali, alimentari, popolari, nazionali.

Suona bene oggi , a sinistra, dare del “sovranista” a chi mette in discussione l’UE, l’Euro, il dominio delle multinazionali, l’appartenenza all’Occidente. Ma utilizzando il termine “sovranista” in senso spregiativo, come insulto, è la sovranità del capitale finanziar-mafioso-miltare e dei potenti Stati, strumenti e armi di quel capitale, che si difende.

Fulvio

Armi proibite: quando uccidere non basta - PALESTINA: GIRI DELLA MORTE (e cronache sportive)

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“il manifesto”: ma che belle cronache!

Qualcuno potrà dirmi che me la prendo sempre con il giornale che si sfregia del vezzeggiativo “quotidiano comunista”. Che tanto è inutile, che è come prendere a cannonate un cagnetto di compagnia (quello di Soros e Hillary), che comunque quei quattro lettori, sopravvissuti al disvelamento ormai scontatissimo della sua missione di megafono delle buone ragioni imperialiste, non li schiodi neanche se gli dimostri che Chiara Cruciati è sposata con un boss curdo di Kobane e passa le ferie tra l’Isis del Sinai,  o che Norma Rangeri, Laura Boldrini, Asia Argento, Emma Bonino  succhiano sangue di bambini maschi dopo mezzanotte.

Tutto vero, ma tant’è. La smetterò, ma non stavolta. Stavolta, intendo il numero del  5 maggio del “manifesto”, ne ha fatto una più raggelante del solito. Come del sistematico sostegno alle buone ragioni dell’occupazione Usa-Nato dell’Afghanistan, della trasformazione di unregime change amerikano in rivoluzione democratica (ultima quella in Armenia del mercenario Cia Pashinyan), della santificazione di curdi venduti a Usa, Israele e Sauditi, della balla Regeni, della bufala Russiagate, dello sfegatato sostegno alla killer Hillary come ai nani di giardino LeU, dell’avallo a ogni False Flag che passi per la mente a Mossad, Cia, MI6 e altre conventicole della buona morte di massa, della vilificazione in dittatori di chiunque vada col suo popolo in direzione ostinata e contraria all’Uccidente,  dello scudo finto buonista e vero malista con cui copre i facilitatori Ong, in mare e in terra, della spoliazione del Sud del mondo…

Sapete tutti che potrei non finirla per ore e ore, ripercorrendo i quarant’anni del giornale, a rischio di motivare ulteriormente chi, amante di twit, sms e instagram, mi accusa di prolissità. Ma continuo a credere che, scontato il ruolo dei media di De Benedetti, Agnelli, Cairo e Caltagirone agli occhi di chi non si droga di crack renzusconiano-bergogliano, vada denunciato chi ti fa le fusa davanti (“quotidiano comunista”, diritti civili, precariato), mentre in effetti fa da palo al brigante che ti infila la siringa di nervino tra le sinapsi. Veniamo al dunque. In prima pagina quel “manifesto” ha il buon gusto di onorare con un’asettica cronaca sportiva la corsa ciclistica che Israele va facendo passare con i cingoli sui corpi vivi e morti dei palestinesi.

Nell’ultima dell’inserto “Alias”, su tutta pagina, arriva a consolare quei frantumatori di ossa e anime con il sereno titolo, come se niente fosse, “Un giro dedicato a Gino Bartali” e sottotitolo ancora più festante: “Al campione nominato “giusto tra le nazioni” la cittadinanza onoraria israeliana”. Pensate che Pasquale Coccia, autore dell’ignominia, percepisca un qualche sussulto dalla tomba di uno che ora vi si volta furibondo dato che, non avendo mai tollerato che qualcuno gli mettesse i piedi in testa, o lo manipolasse, si vede degradato a strumento di propaganda del regime più sanguinario e terrorista del mondo? Lui che, a costo della carriera, libertà e vita, aveva sottratto ai carnefici le vite di chi rischiava la sorte che, ora e da settant’anni, martirizza e falcidia il popolo sulle cui tombe si vorrebbe far correre il suo spirito.


Bartali, appropriazione indebita
C’è qualcuno che possa davvero pensare che uno come Gino – “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare” - Bartali (quelli che non c’erano, ne studino la rivolta contro soprusi, mistificazioni, frodi) sopporterebbe l’oscenità , da parte di chi poi!, di essere preso, esanime e incosciente, cadavere, e manovrato a vessillo e apripista di un genocidio strisciante?  Di fare da spirito-guida per un’operazione pagata a RCS e Gazzetta dello Sport 16 milioni di euro, i classici trenta denari (ma più sporchi di quelli del povero Giuda, predeterminato da Dio), per coprire di rosa la realtà cancerosa di uno Stato che sostiene i suoi crimini contro l’umanità con gli scheletri dei suoi correligionari periti nel nazismo.

Antisemita è chi perseguita gli arabi
Abu Mazen, presidente ANP abusivo, rintronato e da anni venduto a un nemico a cui fa reprimere, incarcerare, torturare e uccidere i propri cittadini, ha detto cose stupide e importune. Ha dato ai suoi padroni veleno kosher da sputare  sugli “antisemiti”. In qualche modo, pur deprecandolo, lo corrobora Michele Giorgio, colui che per il “manifesto” dovrebbe sostenere le ragioni dei palestinesi, quando deplora i “danni d’immagine” inflitti dal discorso di Abu Mazen sugli ebrei che “se la sono voluta perché usurai e banchieri” . In sintonia con Netaniahu, il cronista che, da anni da quelle parti, dovrebbe saperla più lunga, parla di “antisemitismo”, aggiungendo la sua alla mistificazione sulla quale campano l’universo israelo-sionista e si fanno passare i suoi abusi. Giorgio non contrasta neanche l’accusa di negazionista sparata da Netaniahu, lui sì negazionista di tutto un popolo, addirittura parzialmente ancora vivo, non spiegando che il logoro capo dell’ANP non ha mai negato l’olocausto.

Ci saremmo aspettati la demolizione dell’appropriazione indebita  della qualifica di “semita”, arma principe del regime e della sua lobby: semiti sono gli arabi, tutti e solo loro. Semiti non sono gli ebrei, salvo qualche arabo convertito, ma come dimostrato dall’ebreo Shlomo Sand (L’Origine del popolo ebraico), genti di origine eurocaucasica spostate in terra altrui, semita (con il concorso anche dei nazisti) per arginare e poi annientare il nascente movimento arabo anticoloniale e di ricomposizione nazionale che minacciava di sottrarre all’Occidente le piastrine di petrolio che il capitalismo si inietta in vena per mantenersi in vita.
Il “manifesto” non è l’unico che, con resoconti tecnico-turistici in tracimante salsa propagandistica, ha voluto dare dignità a un’operazione indegna. L’altro giornale “di opposizione”, ma sintonicamente atlantista come tutti, “Il Fatto Quotidiano” che, inflessibile censore, con ogni riga ci avverte delle nefandezze falsarie dell’altra stampa, ha affidato a Leonardo Coen il compito di illustrarci le tre tappe dell’ignominia aggirandosi un mondo tra l’arcadia e i campi elisi. A loro volta i cronisti Rai riesumavano lo stereotipo coloniale del “deserto fiorito” nel Negev, dei Kibbutz piscinati e delle coltivazioni irrigate, sorvolando leggiadri sulle acque palestinesi predate e sui villaggi beduini rasi al suolo. Ma da Debenedetti e Monica-Bilderberg-Maggioni te lo aspetti. Dal “manifesto” invece, a non essere boccaloni …pure.

Ebrei altri
Chiudo il penoso affare “manifesto” con qualcosa che, purtroppo, non salva capra e cavoli, l’indecenza dell’articolo e delle foto che violentano un grande campione e un nobile uomo, ma che onora il coraggio e l’onestà di tanti ebrei. Quelli che, sempre sul “manifesto”, hanno provato a controbilanciare la vergogna delle cronache eulogiche con il ricordo di quanto di orribile è stato inflitto ai palestinesi, la denuncia di cosa vi si nasconde di feroce e ingiusto e di coloro che, da noi, ne traggono profitti e benevolenze. “La commissione giustizia  della Knesset sottoporrà al parlamento un pacchetto di leggi che trasformano definitivamente Israele in uno “stato ebraico”, abolendo così una volta per tutte la tanto fastidiosa parola “democrazia” dal suo statuto e facendo così chiarezza sulla propria natura”. Grazie, Paola Catarutta e le decine che hanno firmato il testo di “Ebrei contro l’occupazione”.

A colorare di sangue le serene immagini storico-tecniche con cui il “manifesto” ci ha illustrato il Giro nello Stato fuorilegge sono poi venute, nella stessa giornata, le ennesime vittime che a Gaza pagano per aver inalberato ai limiti della loro gabbia un semplice simbolo, quello del ritorno a casa. Altri 500 feriti e mutilati, per un totale, dopo cinque venerdì, di quasi 50 morti e 8000 feriti. In una dimostrazione di forza, determinazione, coraggio, di donne, uomini, bambini, di cui non riesco a trovare paragoni storici. Ma di cui ci annichilisce la fiducia nell’essere umano quanto alberga nella parte opposta, quella dal “lato buono” di muro e gabbia. Non ci fossero  palestinesi come quelli, siriani con Assad, libici con Gheddafi, venezuelani con Maduro, a sostenerci l’anima sbrindellata…. Correggiamo Brecht: beato il popolo che produce simili eroi.

Armi proibite: far più male della morte
Forse negli ampi spazi che i giornalisti hanno dedicato dal dopato corridore Froome, in un Giro nel più dopato Stato del mondo, avrebbero dovuto, all’evidenza dello straordinario peso della notizia, raccontarci anche altro di quei giorni. Se fossero giornalisti… Proviamo a colmare un tantino la “dimenticanza”.

Non è roba di oggi. Qualcuno cui sia capitato di vedere il mio documentario sulla guerra del Libano nel 2006, “Delitto e Castigo”, che narra l’invasione dei fucilatori di bimbi con sassi e il trionfo delle sgarrupate milizie di Hezbollah, ricorderà con discreto raccapriccio quanto mi venne illustrato dai medici libanesi nelle loro cliniche: combattenti e civili feriti, meglio, squartati, trapanati, tritati dentro, dalle armi segrete e proibite di Israele. Ebbene, non soddisfatto dagli umani corrosi vivi dalle fiamme che, a Gaza durante “Piombo Fuso”, gli incollava il fosforo bianco, Tsahal, “il più morale esercito del mondo”, ha perfezionato quelle armi. Visto che nessuno (tipo Amnesty, o HRW, o Boldrini) ha avuto niente da dire, neanche tra quelli che, con scandalo al fulmicotone, attribuivano armi al cloro ad Assad e gli facevano pagare le loro fake news a forza di inferni missilistici, Israele ha modo, ogni venerdì “del ritorno”, di fare nuovi esperimenti.

Di quegli 8000 feriti molti restano mutilati, molti mutilati marciscono e muoiono.  Ma nessuno aggiornerà le cifre degli uccisi del venerdì. Le pallottole dei cecchini aprono ferite grandi come pugni, poi esplodono dentro. Sono le vecchie Dum-Dum, ma migliorate con qualcosa di chimico che attacca carne, ossa e organi e li fa imputridire. Molto apprezzate sono le bombe a freccette, che, una volta esplose a mezz’aria, liberano decine di frecce d’acciaio mirate, indovinate dove, umanamente su persone. Magari bambini. Intelligentissime. Poi ci sono le simpatiche bombette a farfalla: più veloci del suono, colpiscono con la punta che poi dentro, si apre come le ali della farfalla e…macina. Altra meraviglia è la pallottola a espansione che polverizza quanto incontra nel suo percorso nel corpo. Dice la dottoressa Ingres, dopo il primo venerdì del ritorno: “Più di metà dei primi 500 feriti ricoverati nei nostri presidi sono stati colpiti da pallottole che hanno letteralmente distrutto tutti i tessuti e polverizzato le ossa. Chi sopravvive resta menomato a vita”.

 bombe a farfalla e a freccette
Gaza e i territori occupati,  laboratorio di Israele, hanno il pregio di fornire cavie per il progresso scientifico e tecnologico del più grande esportatore di armi pro capita del mondo. Uccidere, incapacitare a tempo o a vita, è un vezzo che non si limita al proprio ambito statale. Molto popolare sul mercato è il bombardamento da elicotteri e droni con gas tossici, praticato con successo sui manifestanti a Gaza: una sostanza chimica giallognola che porovoca vomito, convulsioni, asfissia, collassi, incontrollati tremiti degli arti e tachicardie, coma. Ne ho avuto un assaggio anch’io dalle parti dell’università di  Bir el Zeit. Si sta male da morire e chissà cosa ci si porta dietro.


Tutte queste sono armi internazionalmente proibite. Avete sentito un mormorìo di riprovazione? O anche solo visto un trafiletto di cronaca nelle colorire corrispondenze dei nostri inviati al seguito del Giro? Seguendo i corridori nel Negev, bastava buttare uno sguardo a destra. Ma si rischiava il torcicollo da antisemitismo.

Israele fugge, ma lascia il segno
Come quando si percorrono i villaggi libanesi per raccontarci le elezioni in Libano. Chi ha visto Rasha, giovane donna con le stampelle? Rasha aveva 15 anni nel 2008 quando una bombetta raccolta tra i cavoli nel campo le troncò una gamba. Allora ne erano stati colpiti 500 civili, perlopiù contadini. Sono passati altri 10 anni e le bombe a grappolo lanciate da Israele nel 2006 sul Sud agricolo del Libano continuano a spargere dolore e sangue. Su un territorio che, dopo la cacciata di Tsahal, avrebbe dovuto conoscere pace e lavoro, furono lanciati 4 milioni di munizioni cluster che lasciarono sul terreno altri milioni di sottomunizioni inesplose. Che continuano a troncare arti, sfondare organi, bruciare occhi. Un crimine di Israele è per sempre.



IRAN, CHI SEI ? Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. (Antonio Gramsci)

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https://www.youtube.com/watch?v=ZeVYbTw6omE&t=336s  Selezione dal docufilm di Fulvio Grimaldi “TARGET IRAN”, l’unico racconto dell’Iran vero, non inquinato dai politicamente corretti di destra e “sinistra”. DVD di 85’, acquistabile per posta: visionando@virgilio.it

Il burattino Trump esegue
Lo Stato Canaglia, Stato del terrorismo, Stato dell’aggressione perpetua, Stato del genocidio strisciante, lo Stato che s’è comprato i politici, i media, gli italiani passivizzati o complici e a cui l’Italia dei politici, media, italiani passivizzati o complici ha venduto la sua massima manifestazione dello sport ciclistico, insieme alla sua dignità e integrità, ha intimato al suo burattino, presidente degli USA, di attaccare il libero, sovrano e pacifico Iran. Nel frattempo bombarda e uccide impunemente in Siria difensori iraniani della libertà del popolo siriano e del diritto internazionale, salvaguardia delle nazioni e della pace.
Ha attaccato l’Iran insieme al suo sodale arabo, lo Stato più retrogrado, oscurantista, repressivo, predatore e, nell’indifferenza delle altrimenti (Iran, Russia) indignate presunte sinistre, misogeno e omofobo in chiave lapidatoria, esclusivista, razzista, monoetnico e teocratico quanto lui. Lo ha attaccato sotto ricatto di un carcinoma dalla metastasi mondialista chiamato Stato Profondo, i cui cingoli, nella marcia sulla Russia, hanno già polverizzato la Jugoslavia, raso al suolo la Libia, squartato la Siria, devastato l’Afghanistan, frantumato l’Iraq. Si sono lasciati alle spalle il proprio paese impoverito, spolpato da banche e spese militari, ridotto a Stato di polizia dalla sorveglianza universale e, con il terrore della “guerra al terrorismo” e con il traffico di stupefacenti della “guerra alla droga”, 50 milioni di morti dal 1950, perlopiù musulmani.

La triplice Usa-Israele-Arabia Saudita, la coalizione a più alto tasso criminale e di sangue versato della Storia umana, dopo aver impunemente colpito, distrutto e ucciso cose e vite iraniane, impegnate nella difesa dell’umanità in Siria, ha stracciato un accordo per la denuclearizzazione dell’Iran concluso tra le maggiori potenze dell’Uccidente e un neopresidente iraniano rassegnato a farsi dettare l’agenda dell’economia e dello sviluppo del proprio paese. Un accordo rifiutato da Mahmud Ahmadinejad, grande e laico presidente espresso da quel popolo e, soprattutto, dal suo proletariato riscattato, ma poi accettato da dirigenti espressi da una borghesia ansiosa di galleggiare e prosperare nel liberismo importato dai Rothschild-Goldman Sachs. Smantellamento di tutte le sue centrali di ricerca e produzione nucleare, nonostante si limitassero a un arricchimento del 20% dell’uranio, utile solo a scopi medici ed energetici (per la bomba ci vuole il 90%).

Ai detentori di 7000 testate nucleari, di cui due già sperimentate su esseri umani, a coloro che tengono sotto scacco i vicini in Medioriente con le proprie 200-400 bombe termonucleari, a un clan famigliare proprietario di tutto un paese grazie alla ferula del terrore religioso, non  interessava bloccare un uranio innocuo, arricchito al 20%. Interessava bloccare lo sviluppo, il benessere, il ruolo di una nazione quinta nel mondo per produzione di petrolio e seconda per il gas. Interessava sabotare ogni rifornimento di energia al mondo, in prima linea all’Europa, che non fosse americano o sotto controllo americano. Vedi TAP. Vedi Regeni. Vedi i marciatori contro l’ENI. Interessava applicare, rinnovare, aumentare le sanzioni.

Qualcuno marcia per conto terzi contro l’ENI, qualcuno si prepara a una marcia sacrosanta per la Palestina occupata e seviziata, qualcun altro assiste dal proprio divano allo sterminio di popoli tra i più nobili e giusti, bofonchiando a difesa della propria miseria morale e intellettuale scellerate idiozie su “dittatori”, burka e veli. Chi si arroga il diritto di infliggere sanzioni per portare alla disperazione un popolo nella speranza che poi se la prenda, non cono i suoi aguzzini, ma con i propri dirigenti, non ha la più pallida idea di chi sono gli iraniani.

A chi  non percepisce la grottesca aberrazione di Stati che basano il proprio ruolo nel mondo sull’invenzione e promozione del terrorismo in casa e fuori, sullo stragismo jihadista, brigatista, dell’intelligence, dei vari Gladio, e che poi azzardano l’accusa all’Iran di massimo promotore del terrorismo nel mondo, va messo in mano il filo che congiunge Piazza Fontana e Bologna’80, Via d’Amelio e Italicus, l’11 settembre e Bataclan. L’abbattimento delle Torri Gemelle è passato da Osama, nella sua grotta a Tora Tora, ai Taliban, dai Taliban a Saddam, da Saddam ai sauditi. La proclamazione dell’Iran “sponsor massimo del terrorismo” prelude a un nuovo cambio di paternità. E, a sinistra, il coro dei reggipalle, prosseneti, escort, annuisce.

Sanzioni che, per effetto collaterale rigorosamente voluto, colpiscono l’Europa, come quelle contro la Russia. Corrono parallele alle migrazioni indotte e coatte. Sanzioni all’Iran come svuotamento di Siria o Eritrea; ricadute delle sanzioni sui paesi europei come destabilizzazioni e dumping sociale nei paesi d’arrivo. E’ il mondialismo, bellezza. E’ la criminalizzazione della sovranità, baby.

Target Iran, un documentario per rovesciare la narrazione di destre e sinistre
Mi permetto, nella congiuntura, di riproporre ai non indifferenti la conoscenza onesta e vera dell’Iran, come abbiamo cercato di offrirla con il nostro docufilm “TARGET IRAN”, girato durante l’ultimo mandato di Mahmud Ahmadinejad, alla vigilia dell’arretramento compiuto dal neopresidente Rouhani, espressione di quella borghesia dei quartieri alti di Tehran che rimpiange i fasti goduti sotto lo Shah, la sua capacità di mettere in riga oppositori e ribelli grazie alle carceri e alle torture della Savak, maestra del Mossad, e che sogna le gozzoviglie neoliberiste dell’Uccidente.

Il film resta di assoluta attualità, sia per il contesto geopolitico che vede un Iran assediato dalle stesse forze di allora, ora con aggressività potenziata dagli psicopatocrati al potere negli Stati aggressori, sia perché proietta una verità dell’Iran che continua a essere occultata, mistificata, deformata da falsità e calunnie. Per non restare indifferenti alla tentata distruzione di una nazione, che ha alle spalle 3000 anni di civiltà e che le sue giovani e colte generazioni proiettano in un futuro di sovranità, autodeterminazione, libertà, un paese con all’avanguardia le donne che rappresentano il 64% dei laureati e sono in prima fila nelle professioni qualificate e nelle funzioni dirigenziali, è necessario prima conoscere. Per far conoscere l’Iran vero abbiamo ascoltato operai e studenti, donne e commercianti, esponenti del governo ed artisti della musica, delle arti figurative e del grande cinema persiano. Abbiamo visitato le tante vittime del terrorismo del Mossad e della sua articolazione iraniana, la setta dei Mujahedin del Popolo (MEK), che ha il suo quartier generale all’ombra del Dipartimento di Stato.

Ai confini con l’Afghanistan abbiamo incontrato i militari che difendono la loro società dall’offensiva dei trafficanti di droga manovrati dagli occupanti Usa. Mentre a sud e a ovest, controllano lo strumento imperialista della destabilizzazione secessionista, la quinta colonna curda e del Balucistan.  Abbiamo visitato il grandioso patrimonio archeologico di Persepoli, le meravigliose città, le moschee, i giardini e i parchi di un’impostazione urbanistica ad alto impegno ecologico. Abbiamo potuto smontare tutti gli stereotipi sulle libertà individuali, sui rapporti tra i sessi. Abbiamo constatato l’effetto funesto sulla vita collettiva, a volte tragico, di sanzioni  che arrivano a vietare farmaci fondamentali e abbiamo potuto ammirare l’orgoglio, l’ingegno e la forza di chi resiste e rimedia.

Grazie a documenti che in Occidente sono stati soppressi abbiamo potuto illustrare le provocazioni e le frodi messe in atto durante la fallita “rivoluzione colorata” contro Ahmadinejad del 2011, con i suoi finti martiri, le sue finte esecuzioni.

Il popolo che abbiamo conosciuto non si farà intimidire. E’ da secoli che resiste a invasori, è dal colpo di Stato angloamericano contro il premier Mossadeq, che aveva nazionalizzato il petrolio e sconfitto la tirannia monarchica, che l’Iran ha imparato a conoscere l’imperialismo e i suoi metodi. Una volta di più, come in Libia, Siria, Iraq, Yemen, Somalia, Afghanistan, America Latina, sono in gioco i destini dell’umanità e del suo pianeta, la scelta tra vita e morte. Avendo a disposizione la conoscenza, l’indifferenza non è più consentita.

Il docufilm “TARGET IRAN” può essere ordinato a visionando@virgilio.it.
Nel blog www.fulviogrimaldicontroblog.infose ne trovano il trailer e una breve selezione.
A ogni richiesta si illustreranno i termini di acquisto e spedizione del dvd. L’autore è disponibile per presentazioni ovunque.

DA GAZA AL QUIRINALE Popoli fai da noi, cacicchi fai da me. E i Rothschild

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“Ogni volta che siamo testimoni di un’ingiustizia e non reagiamo, addestriamo il nostro carattere ad essere passivi di fronte all’ingiustizia , così, a perdere ogni capacità di difendere noi stessi e coloro che amiamo”. (Julian Assange)

“Si parva licet componere magnis”, premettevano i latini a un azzardato paragone che conducevano tra cose piccole grandi. Procedimento che adotto per passare dalle nostre squallide, ma non del tutto irrilevanti, piccinerie, alle immensità, per una parte orrendamente efferate e, per l’altra, eroiche, di quanto va succedendo in queste settimane e ore tra i palestinesi di Gaza e gli emuli israeliani dei macellai del ghetto di Varsavia.

Cosa ci accomuna, cosa li accomuna
Altra premessa al discorso di oggi è la constatazione di cosa abbiano in comune coloro che hanno portato alla novità di due fenomeni di massa che, fino all’altro ieri, parevano patrimonio di altri, migliori, tempi. E, per converso,  a cosa ci porta l’esame epistemologico circa la natura logica dei comportamenti di contrasto a questi fenomeni. Parlo della rivolta di masse popolari a Gaza impegnate in un movimento, la Grande Marcia del Ritorno, che, dopo anni di delega a rappresentanti inetti, inefficaci, rinnegati, divisi e divisivi, si appropria del tema che fu loro fin dal rifiuto della colonizzazione degli anni ’40 e poi nelle due Intifade degli anni ’80 e ’90. E parlo della cacciata, in Italia, dal proprio orizzonte politico di coloro, la coalizione di destra variamente denominata Ulivo, governo tecnico, larghe intese, renzusconismo. Usurpatori  che dalla fine del secolo scorso, eletti rappresentanti dei bisogni collettivi, queste masse le hanno conculcate, deprivate, escluse.

Avventandosi settimana dopo settimana contro i reticolati dei campi di concentramento in cui un olocausto strisciante li ha rinchiusi, finendo col sottrarre alla passività anche i fratelli in Cisgiordania, tornando ad essere protagonisti del proprio destino, i morituri di Gaza hanno sconfitto i propri carcerieri mostrando come la via della libertà di un popolo passa anche per la morte. Quando un popolo è conscio di sé e non ha più nulla da perdere, la sicurezza del suo oppressore non troverà mai misure sufficienti per garantirne il dominio.
E’ quel popolo, inteso in senso gramsciano che, da noi, non avrà dovuto pagare con una carneficina la propria autonomizzazione nella lotta di liberazione, la sua riappropriazione delle scelte fondamentali, ma, riducendo a brandelli  elettorali i dominanti e decidendo di rovesciare il tavolo sopra il quale banchettavano i propri “delegati”, politici, sindacali, mediatici, se non la morte ha dovuto affrontare (per ora), ma un fronte che nulla ha da invidiare alla mancanza di scrupoli democratici e alla protervia impositiva di Israele e della sua  lobby globale.

De minimis non curat praetor

Mi pare riduttivo, a questo punto, intrugliarmi nelle diatribe, intensificatesi in questi giorni, sul mio sostegno ai 5 Stelle, perlopiù scatenate da rabdomanti frustrati che andavano in cerca di responsabilità altrui per il disfacimento delle sinistre. Lasciatemi precisare ai grilli parlanti che mi attribuiscono, a volte apoditticamente, posizioni e schieramenti, che qui non è in gioco una valutazione di cosa i vincitori delle elezioni sono o faranno. Anzi, da convinto condivisore degli obiettivi dell’originale vaffa, come li ho visti praticare da militanti 5 Stelle sul territorio, come potrei negare perplessità e sconcerto su quanto il loro gruppo dirigente, oggi gravemente personalizzato, va dicendo e annunciando. Il pensiero corre angosciato alla parabola catastrofica di Tsipras. Ma tra le ricorrenze storiche c’è anche quella che ci riconduce al Berlinguer della scelta pro-Nato e pro-compromesso storico. Nessun dubbio che la parabola, chiusasi sulle maleodoranti scorie del PD, se non un inizio, lì ebbe un’accelerazione significativa. Quelli che ne auspicano una ripetizione, stanno tutti in alto e sono tutti nostri nemici, più di Di Maio.

Popoli fai da noi
Conta invece la fenomenale mossa con cui 17 milioni di dominati si sono scrollati dal groppone briglie e morsi che gli imponevano di trascinare  carri e carrozze. Conta che  l’hanno fatto contro una coalizione di potenti inferociti e  di certi “oppositori” (detti di sinistra), alla vaniglia per quelli in alto, alla vasellina per quelli in basso. E le bordate sparategli contro hanno tutta la carica di ferocia, odio, frustrazione, dei Radetzki  e dei Bava Beccaris negli albori milanesi del movimento operaio. E, di là dal mare, i masnadieri invasori, nascosti dietro ai loro terrapieni e resi impuniti e invulnerabili perché protetti dalla divisa dell’ esercito “più morale del mondo” e dal silenzio sulle criminali pallottole e bombe a espansione, a farfalla, a freccette, chimiche, finalizzate a uccidere facendo soffrire il massimo, sono i guardiani di una Fortezza Bastiani terrorizzati dai tartari (che in questo caso, però, ci sono e arrivano a decine di migliaia, domani a milioni). I maggiordomi, mercenari in marsina e Acqua di Colonia che, a Bruxelles, Washington, Londra,  Parigi, a Berlino, Roma, eseguono gli ordini di servizio degli stessi mandanti, con o senza kippà, puntano allo stesso effetto invalidante, di coma cerebrale, mediante le armi della menzogna, delle false notizie sparate contro quelle vere, della diffamazione, della pioggia di cavallette se solo apri bocca.


Voto disobbediente e bullismo presidenziale
Sono a pari merito stupri della libertà e assassinii della democrazia. Milioni di italiani si vedono posti sul banco degli imputati per aver votato in modo difforme dai gusti dell’establishment, populista, cioè per se stessi. Per aver pensato che non sia né bene né giusto deregolamentare, privatizzare, militarizzare, inquinare, distruggere ambiente, salute, lavoro, istruzione, condurre guerre, corrompere tutto e ogni cosa, governare insieme a mafia, massoneria e Nato. E subire tutto questo a beneficio di pochi eletti incistati in banche e oasi di lusso su diktat di una manica di abusivi che brucano gli ubertosi prati pasciuti dalle nostre tasse a Bruxelles e Francoforte. I quali, da Moscovici al cenobio ormai catacombale del Nazareno, dai soloni del principato mediatico delle fake news agli sguatteri buonisti che, per confonderci e alienarci tutti quanti, strappano e alienano popolazioni alle proprie radici e a un degno futuro, hanno sollecitato Mattarella a farsi Napolitano Tris. Anzi, ad allungare il passo: dalla repubblica parlamentare alla repubblica presidenziale.

Tentato l’affondo di un suo governo, con proterva ipocrisia definito “neutrale” (alla maniera degli arbitri di Moggi), beccato con le mani nella marmellata, l’ex-ministro della Difesa che ci difendeva massacrando la Serbia di bombe, il presidente che ha firmato tutte le malefatte PD, incluso il Rosatellum, che non si è fatto scrupolo di ricevere, anche a quattr’occhi, nel supremo palazzo della Repubblica il delinquente Berlusconi, si è permesso di porre “dei paletti”. Paletti come saracinesche nelle quali rinserrare fino all’estinzione, o alla resa, chi non si fa tappeto rosso per le scarpe laccate dell’evasore Juncker, per le marce contro Putin e tutti i nemici degli Stati terroristi, chi non rifornisce di munizioni e patte sulle spalle i valorosi antisemiti che in Medioriente eliminano dalla faccia della Terra i semiti (intesi come arabi, gli unici che semiti sono).

A questo punto, visto che, o si corre in tradotte “austerity” di terza classe, sui binari imposti dai buro-despoti di Bruxelles, dallo sradicatore di popoli Soros e dai tagliagole della Nato, per completare la spoliazione e sottomissione dei popoli, o Mattarella ti cancella, cosa cazzo si vota a fare?

Davide e Golia
C’è uno che, per come fustiga i falsari dei grandi media, si erge a vessillo della libertà di stampa, dell’indipendenza dei giornalisti, della deontologia nella professione. Nel giorno in cui uno Stato, che per tasso di criminalità e sadismo non ha precedenti su questo e sicuramente su altri pianeti, celebra un genocidio che su quello nazista ha il vantaggio di durare sette volte tanto, titola: “Così il piccolo Davide si salvò dal Golia arabo e fu Israele”. Le due pagine che seguono e con cui Travaglio definitivamente disonora le parti e le firme rispettabili del Fatto Quotidiano (nessuna delle quali presenti nelle pagine di esteri, appaltate alla lobby), sono alla bassezza di questo sciagurato rovesciamento della verità.
Dalla fola del “ritorno alla terra degli avi” di genti  eurocaucasiche che, da quando esistono,  da quelle parti non ci avevano mai messo il naso, alle falsità sui dati demografici alla base dell’iniqua spartizione dell’ONU, dal silenziatore sugli inventori ebrei dello stragismo terrorista con le bande Stern, Irgun e Haganah, che poi spurgarono primi ministri assassini seriali di massa, al piagnucolìo sui poveri e deboli scampati all’olocausto (garantiti diplomaticamente e riforniti di ogni bene militare da tutte le grandi potenze) che dovevano vedersela con l’immane forza degli eserciti arabi. Con questi, infatti, sbrindellati, armati alla ‘800, da poco usciti dallo scontro con l’impero ottomano e dalle guerre di liberazione anticoloniali, per il “Davide” israeliano, sostenuto da Mosca, Washington, Londra e vassalli vari, come da un’opinione pubblica decerebrata da quella che l’ebreo Finkelstein chiama “L’industria dell’olocausto”, la partita era vinta prima di incominciare.

Israele: Il troppo stroppia


Obnubilazione che durava ancora nel 1967 quando, da inviato di Paese Sera alla “Guerra dei Sei Giorni”, a raccontare le atrocità di Tsahal sui villaggi palestinesi che vedevo, mi dovetti scontrare, non solo con la censura israeliana, anche con un direttore fedele alla linea del PCI che la vedeva come Travaglio oggi. Come sul Vietnam, un’altra verità emerse allora da un giornalismo ancora relativamente libero, il PCI cambiò posizione, il direttore di Paese Sera venne sostituito e, nel mondo, iniziò una lenta, progressiva presa di coscienza per cui l’arcaica equazione dei pifferai sionisti alla Travaglio andava invertita. Oggi la trafelata corsa alla compattezza filosionista dei media è, per converso, il segno del timore che quella coscienza possa minare alla base uno dei pilastri che sorreggono la cupola del finanzmilitarismo mondiale. Ne è dimostrazione la furibonda campagna di Israele e della  lobby contro il movimento BDS: boicottare, disinvestire, sabotare.

Gli oltre cento morti dell’orrenda carneficina di Gaza, gli oltre 10mila feriti e perlopiù mutilati, le migliaia di morti da Piombo Fuso del 2008 e successive, le centinaia di migliaia di seviziati, incarcerati, torturati, i milioni di sradicati, le decisioni dell’ONU tutte ignorate e sbeffeggiate, l’ininterrotta, feroce aggressività nei confronti di chi resiste, di chi si oppone, di chi critica, di chi non plaude, i ricatti che sfruttano le vittime dei nazifascismi, le 400 bombe atomiche agitate per ridurre all’impotenza  chiunque si trovi nel mirino dello Stato Gangster e della sua lobby, il cannibalismo nei confronti dei popoli vicini.


E dall’altra parte un popolo intero, privato di cibo, acqua, energia, salute, rinchiuso in una Auschwitz tra deserto e mare. E i suoi ragazzi, le sue donne, con fionde e pietre rubate ai secoli della Bibbia, contro il quarto più potente esercito del mondo, il più immorale, il più vile. Nella Storia, domani, rimarrà un’orma a distinguere dal subumano israeliano l’umano palestinese: quella di un popolo, abbandonato, tradito, tormentato oltre ogni limite, che a decine di migliaia cammina verso la libertà, inerme, sapendo di morire, morendo per la libertà. Purchè in piedi. Non s’è mai visto niente di simile, un tale tributo al valore supremo di ogni creatura. Grazie, palestinesi. Impossibile che non vinciate.


Hic sunt leones
scrivevano i romani sulle aree delle loro carte geografiche dove non c’era altro interesse che quello per le battute di caccia e la cattura di animali selvaggi. Netaniahu vede così i territori oltre i propri mai stabiliti confini: quelli della Grande Israele dove gli animali da uccidere o catturare camminano eretti su due gambe e dove si trovano acqua, petrolio, quelle ricchezze che a Israele e alla comunità che lo sostiene servono per il raggiungimento degli obiettivi storici. Guerra dopo guerra. Possibilmente combattute per conto suo da terzi: Usa, Nato, jihadisti, curdi, sauditi. Non sarebbe la prima volta.

Le guerre Rothschild per Israele

 Churchill e Rothschild
Le due guerre mondiali sono state scatenate per una varietà di motivi e interessi. Egemonia in Europa, primato coloniale, competizioni sociali,  potere e ricchezza degli industriali a partire dalla produzione di armi. Ma, forse, nella tormenta che ha insanguinato l’Europa con due guerre mondiali, Israele c’entra. O, quanto meno, il piano per porre in essere uno Stato ebraico ha goduto dei finanziamenti della famiglia Rothschild e affini. Ed è un piano che si è valso di guerre. Non solo quelle del 1948, 1956, 1967 e 2003. Il crollo dell’impero ottomano al termine del primo conflitto consegnò alla Gran Bretagna il controllo totale sulle terre palestinesi. E’ del 1926 la dichiarazione di Balfour che istituì il “focolare ebraico” in Palestina. Ma è del 2 novembre  1917, con sconfitta ottomana in vista, che lord Balfour, massone, ministro degli esteri e già primo ministro, scrive al capo di quella che da secoli è la più potente banca del mondo:

Caro Lord Rothschild, ho grande piacere a comunicarle, a nome del governo di Sua Maestà, la seguente dichiarazione di sostegno alle aspirazioni sioniste che sono state sottoposte e approvate dal Gabinetto. Il governo di Sua Maestà vede con favore lo stabilimento in Palestina di una patria nazionale per il popolo ebreo e farà del suo meglio per raggiungere questo obiettivo…”


Grazie alla prima guerra mondiale gli ebrei si assicurarono quella terra.  Alla vigilia della seconda, si realizza “L’Accordo di Trasferimento”, concluso tra i sionisti del Bund e il governo di Hitler per lo spostamento degli ebrei in Palestina. Si può dire che se la prima guerra mondiale preparò la terra per gli ebrei, la seconda preparò gli ebrei per quella terra. A Monaco Chamberlain volle evitare lo scontro, ma Churchill lo liquidò e scatenò la reazione anglosassone all’invasione della Polonia. La famiglia di Churchill era legatissima ai Rothschild, il padre di Winston fu amico intimo di Nathaniel, primo Lord Rothschild. Il figlio ne seguì le orme e rafforzò il sodalizio (vedi foto). Poi bombardò l’Iraq, sottomise l’Egitto e colonizzò la Palestina. I denari dei Rothschild non gli vennero negati.  Sono i Rothschild i genitori dello Stato che da 70 anni sconvolge e minaccia il mondo.  Sono i Rothschild che tracciano il solco, sono Bilderberg, Open Society di Soros e Trilateral che lo difendono. Si chiama mondialismo.

Assange al patibolo, Correa a Roma, i barbari nel palazzo --- JE SUIS JULIAN ASSANGE – SIAMO TUTTI ASSANGE

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Comunque meglio i barbari
Premetto una nota domestica. Il fatto che a tutti coloro che a me, a noi, suscitano ribrezzo e sacrosanto odio (quanto temono i giustissimi haters!), danno le convulsioni quelli che stanno provando a fare un governo, che, comunque, sarà diverso da tutti i suoi fetidi predecessori, ci fanno superare ansie e perplessità. I nemici dei tuoi nemici non saranno tuoi amici, ma di certo sono una chance migliore di quelli che ci strangolano. Sono saltati alcuni punti che per noi e i 5 Stelle erano cruciali (Jobs Act, Sblocca Italia, Tav, Tap), ma ne basterebbe uno dei tanti altri (Fornero, politica agricola europea; una banca nazionale, revisione missioni internazionali, antiprescrizione, anticorruzione, acqua pubblica, no sanzioni alla Russia, no “Buona Scuola”, no fossili, …..) per rendere le premesse di questo governo il migliore di tutti quelli dagli anni ’80 in qua.

O promettevano e poi facevano meglio i Monti, Renzi, Alfano, Boschi, Lotti, Rosato, Verdini, Madia? Costoro sono stati fregati dal popolo derubato e minchionato e ora tremano all’idea che quelli dal popolo eletti li freghino anche loro.Ne è riprova il sincronico assalto al fosforo bianco che, con bava di fiele alle fauci, destre, centrini, presunte sinistre, dal sorosiano “manifesto”, alle trombe del giudizio di DeBenedetti, Berlusconi e Cairo, al robotino Rothschild Macron, all’élite mondialista del Financial Times, alla lobby con stella di David, hanno scatenato contro i “nuovi barbari”. Fosse vero! E fossero le larve imperiali alla Romulo Augustolo deposte dal barbaro Odoacre, che poi resse un regno finalmente tranquillo, prospero e pacificato, o le scimitarre ottomane che cacciarono gli ultimi Paleologhi, gli ultimi Focas, con i loro transgender eunuchi. A scanso di essere fulminati dagli anatemi dei politically correct al piano di sopra, dei pretoriani di questo imperiuccio d’Occidente o d’Oriente che sprofonda nella palude, noi ci riserviamo di stare con i barbari. Poi si vedrà quel che sarà.

https://www.newsy.com/stories/ecuador-removing-extra-security-at-embassy-assange-lives/ Un breve video su Julian Assange, prima rifugiato ora rinchiuso nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, in attesa di estradizione negli Usa e di pena di morte.


Rafael Correa a Roma contro i rigurgiti
Abbiamo incontrato, il 17 maggio a Roma, l’ex-presidente per due mandati dell’Ecuador, per una conferenza stampa dedicata alla sorte del vicepresidente ecuadoriano Jorge Glas, imprigionato dall’attuale presidente Lenin Moreno. Correa, uno dei leader latinoamericani della linea socialista e antimperialista bolivariano-chavista, è stato il protagonista di quella che fu chiamata “revolucion ciudadana” che cambiò in profondità l’assetto sociale, economico e la politica estera di un paese poverissimo, da sempre colonia spietatamente sfruttata dagli Usa grazie ai proconsoli fornitigli dalla borghesia compradora. Il giro che Correa, al quale è succeduto alle ultime presidenziali, il proprio vice, Moreno, va compiendo in Europa e nel mondo, è per denunciare il vergognoso tradimento del suo ex-compagno rispetto alla politica di emancipazione degli strati popolari e indigeni e di liberazione dalla morsa militare ed economica di Washington. Uno dei più avanzati paesi della famiglia dell’A.L.B.A. (Cuba, Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador e Honduras prima del colpo di Stato di Obama-Clinton del 2009), ha dovuto subire la feroce controffensiva dell’Impero Al pari di Argentina, Brasile, Venezuela e, ora, il Nicaragua, con la solita “rivoluzione colorata” portata avanti dai settori reazionari interni, dalle Ong sorosiane e dagli studenti delle università private e cattoliche.

Decapitare i semilavorati latinoamericani
Simbolo del ritorno del fedifrago Moreno alle politiche di predecessori che avevano venduto l’indipendenza e le risorse del paese alle basi Usa e alle multinazionali del petrolio, è appunto l’arresto del vicepresidente Jorge Glas che tale carica occupava anche con Correa., insieme a Moreno. Come successo con Lula e Dilma Rousseff, con Cristina Kirchner e Maduro, contro Glas è stata allestita una macchina del fango, basata su false accuse di corruzione. Si vuole spazzare via un altro ostacolo alla ripresa del controllo sul paese da parte del padrone e aguzzino yankee.



I tempi della conferenza stampa di Correa, in gran parte centrata su un sistema mediatico dalla potenza di fuoco senza precedenti storici, non mi hanno permesso di sollevare un’altra drammatica e rilevantissima questione relativa ai complotti che l’imperialismo conduce contro Stati, popoli e individui che ne ostacolano la marcia verso un totalitarismo finanzmilitarista mondiale. Un tema sul quale Correa si va pure impegnando nel corso delle sue visite. E’ la fine che minaccia di subire Julian Assange, insieme a Chelsea Manning e David Snowden uno dei whistle blowers, suonatori di fischietto come vengono chiamati in inglese, che al re nudo americano e ai suoi tanti cortigiani e lacchè ha strappato buona parte dei vestiti.

Un destino che ci riporta all’attualità nostrana, segnata dalla totale scomparsa di una stampa libera, pluralista, onesta e dalla sua compattamento sotto proprietari-editori e finanziatori espressione di una configurazione di interessi che, pur a volte in competizione tra loro, sono indissolubilmente uniti nella guerra dall’alto contro il basso e nella difesa e promozione dello status quo turbocapitalista e antisovranista. Oggi il loro bersaglio, dal “manifesto” ai giornaloni e a tutte le emittenti tv, sono i “barbari” che rischiano di aprire qualche crepa nelle mura che ne proteggono fortilizi, banchetti e caveau.

Julian Assange, inventore e direttore di Wikileaks ha violato per anni l’omertà che i dominanti hanno ottenuto dai loro servi mediatici. A partire dalle rivelazioni sugli orrori delle guerre Usa e Nato, in particolare in Iraq, fino alla pubblicazione di centinaia di migliaia di documenti e dispacci segreti intercorsi tra cancellerie complici in complotti contro governi, classi e popoli da sedurre, soggiogare, o distruggere, Wikileaks ha il torto imperdonabile di non aver potuto essere silenziata. Per il flusso potente e inarrestabile delle sue notizie, la portata delle proprie rivelazioni, il rilievo delle fonti, Wikileaks è stata l’estremo e massimo argine alla definitiva “normalizzazione” dell’informazione. Da inflessibile sacerdote della verità, nessuna delle notizie di Assange ha mai potuto essere provata falsa, da resistente della libertà di stampa, nessuno è mai riuscito a fargli tradire una gola profonda.

Quando i media fanno i cani da guardia della menzogna
Dal 2012, inseguito da una falsa imputazione di stupro mossagli in Svezia e mai fornita di prove o testimoni, ridicolizzata dal rifiuto dei magistrati svedesi di interrogarlo in tutti questi anni, fino alla totale caduta dell’accusa, Julian si è rifugiato nell’ambasciata londinese dell’Ecuador, protetto dall’asilo politico assicuratogli da Rafael Correa. Da quasi tre mesi, con al potere a Quito il rinnegato fantoccio Usa, Moreno, gli è stata tagliata la connessione internet e all’edificio dell’ambasciata è stata tolta la protezione contro eventuali tentativi di incursione di Scotland Yard, che Correa aveva fatto allestire. Confinato in una stanza senza luce esterna, malato e sotto enorme pressione psicofisica, con la vista deteriorata, impedito da ogni contatto esterno, Assange rischia l’estradizione.

La stanno negoziando Moreno con Londra e Washington. Una volta estromesso dall’ambasciata, l’uomo che ha messo il più grosso bastione tra le ruote della mafia mediatica occidentale e della politica di morte da questa servita, verrà consegnato agli americani, andrà sotto processo, finirà in carcere e rischierà la pena di morte per “collaborazione con servizi di intelligence ostili” e “alto tradimento”. Glielo hanno assicurato ceffi come Mike Pompeo, Segretario di Stato, e Gina Haspel, la torturatrice vicecapo della Cia, ora nominata da Trump a direttore della stessa.




Gli infiltrati a sinistra
Tra gli organi di stampa che si fanno passare per “liberal”, di sinistra, il più stimato rimane inspiegabilmente il “Guardian”, da lungo tempo distante anni luce dalle sue origini progressiste. Nelle ultime settimane, contro Assange, il quotidiano londinese ha tirato ben tre cannonate. Tutte basate su logore e già smentite fandonie, come la violenza sessuale, i miliardi accumulati da spia con la sottrazione di documenti, l’indubbio lavoro al servizio di Putin, immancabile. Il “Guardian”, che si può definire fratello e corrispettivo inglese del “manifesto”, come l’ultrà sionista “Liberation” lo è in Francia, compone quel trio “di sinistra” della stampa europea che ai politici e agli organi dell’imperialismo fornisce i puntelli morali per le loro operazioni. Che siano la necessità di liberare i paesi dai dittatori, l’obbligo di accogliere milioni di emigranti costretti a lasciare i loro paesi alla mercè delle multinazionali e basi imperiali, o la criminalizzazione di Assange figlio di buona donna russa.

Il trattamento riservato ad Assange, uno dei sempre più rari eroi dell’informazione non coartata e manipolata, è un crimine contro quel diritto di tutti noi che viene dopo il diritto alla vita, il diritto alla verità. Senza quello noi “stiamo come d’autunno sugli alberi le foglie”. Morituri.




Beppe Giulietti , Regeni, Assange
Ricordate con che impeto e compiaciuta rettitudine i nostri giornalisti, dall’organo sindacale, la FNSI presieduta dal cavaliere senza macchia e paura, Beppe Giulietti, ad Articolo 21 e all’ultimo ragazzo di bottega redazionale nel “manifesto” o in “Repubblica”, o quei vindici della deontologia e classificatori dei buoni e cattivi che sono Reporters Sans Frontieres, stipendiati dalla Cia, si sono impegnati per cause umane nobilissime? Ricordate gli stracciamenti di vesti per il collaboratore del masskiller John Negroponte in Oxford Analytica, Giulio Regeni, per la martire che si leva il velo a Tehran, contro il “bavaglio turco”, per i giornalisti uccisi a Kabul dai cattivi Taliban (giornalisti siriani, honduregni o messicani non pervenuti,se la saranno cercata), l’emergenza mondiale del precariato giornalistico, quelli che rompono il naso ai colleghi a Ostia…? Li avete visti in piazza, nei salotti, nelle aule, a ergersi a difesa della vita, libertà e incolumità di chi più di tutti ha fatto per ricuperare credibilità all’informazione e per la libertà di stampa ha sacrificato tutto? Che lo considerino un nemico? E noi? Noi, a cui i primatisti mondiale del falso danno del fake news, seduti sulla riva a vedere passare cadaveri di notizie morte o false, noi che facciamo?

Con Correa abbiamo parlato degli sconvolgimenti in atto nel suo paese e in tutto il continente latinoamericano. Gli abbiamo chiesto se, quando al potere, non si sarebbe potuto andare più avanti, come invocavano tanti militanti, sul cammino dell’indipendenza, della lotta al capitale, delle nazionalizzazioni, della mobilitazione e organizzazione delle masse, per tagliare a imperialismo e relativi ceti proconsolari le gambe prima che potessero rimettersi in marcia. “Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto”, ha risposto, “abbiamo tolto dalla povertà milioni di persone, abbiamo avuto poco tempo e avevamo contro i più cinici e forti poteri della Storia. Compreso quello dei media”. Di cui qui abbiamo trattato.


Italia, Iraq, Venezuela, Nicaragua, Armenia… ELEZIONI E RIVOLUZIONI COLORATE. Ma la geopolitica?

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Calcinculo
C’è stato, da un emisfero all’altro, una serie di sgrulloni politici, con elezioni e colpetti di Stato da piazza, detti regime change, o rivoluzioni colorate e anche di velluto. Ne tratterò, se consentite, a volo d’uccello, magari con superficialità sul piano dei dati, dei fatti, di primattori e figuranti e della storia. Ma proverò a individuarne quel perno i cui termini gli amici del giaguaro, quelli scoperti e dichiarati, hanno ogni interesse a rovesciare nel contrario e che gli amici del giaguaro mimetizzati, con dietro la massa di spinta dei loro utili idioti, fingono non conti niente, o addirittura non esista. Di solito perché prima viene l’avanguardia operaia, anche dove non c’è, e la priorità va data all’accoglienza dei migranti, ai matrimoni gay e all’adozione da parte di genitori unisex, alle cravatte di Di Maio.

Avete presente la giostra detta “Calcinculo”? Dove intorno a una colonna centrale si ruota velocissimi su seggiolini attaccati a funi d’acciaio che si inseguono e permettono di prendere a calci nelle chiappe quello che ti gira davanti. Una metafora dello Zeitgeist, dello spirito del tempo, i cui guru trasmettono all’omino comune la lezione di vita: primum fottere l’altro, in un eterno circuito di calci in culo reciproci, tutti contro tutti e non si salva nessuno, ma con quel retrogusto di sodomia che fa contenta perfino la Chiesa. Il perno al centro, invece, manovra lo spasso, sta fermo, si gode lo spettacolo e si becca i soldi. Poi, esaurita la clientela e lasciatosi dietro una scia di lividi, il perno raccoglie i suoi strumenti volanti e si sposta verso nuovi inchiappettamenti. Quando gli ematomi dei primi si attenuano, ecco che l’impianto si ripresenta. E ricomincia il giro.

E’ da secoli che si va avanti così. Oggi peggio che mai. La chiamano con un vezzeggiativo: competizione. Quando la giostra parte, di solito si lascia dietro un terreno spoglio e bucherellato, qualche bullone arrugginito, uno spezzone di corda, stecchini di zucchero filato, una scarpa volata via e mai ritrovata. Dove stava l’impianto non cresce più nulla. Tipo Libia, o Siria, o Grecia. E questo si chiama, se vuoi, geopolitica. L’imperialismo lo sa e la pratica. Le sedicenti sinistre fanno finta di niente. Mentre è qui che, alla resa dei conti, si decide come va a finire tra alto e basso, tra bassotti e altotti.



Italia da destruens a construens
Dell’Italia e delle sue elezioni è presto detto. Dato che finora abbiamo solo programmi belli/brutti e nomi buoni/cattivi, ci asteniamo (io e i miei simili) dall’ inserirci nel grottesco tsunami destro-sinistro con cui mostri e mostriciattoli, nazionali e internazionali, spurgati dal passato, fin d’ora si accaniscono su un futuro politico, economico, sociale, culturale, di cui non si può ancora vedere neanche l’antipasto. Ho anch’io grosse perplessità su certi nomi tratti dalle macerie dei disastri neoliberisti (raccapricciante era stata la prospettiva della sorosiana di Limes, Emanuela Del Re, agli Esteri), ma due aspetti mi confortano: la grande maturità, intelligenza e autonomia dai veleni manipolatori del sistema e dei suoi lacchè mediatici, che ha fatto scegliere alla maggioranza dei votanti di buttare dalla torre la marmaglia che, agli ordini dei cacicchi euro-atlantici, ci ha mentito, depredato, annientato.



L’altro aspetto è “il pianto e lo stridor di denti” che si leva da tutti coloro cui improvvisamente si presenta l’ipotesi di essere cacciati dalle tavole inbanchettate dalle quali sghignazzavano sugli incapienti che li osservavano con il naso schiacciato sui vetri. Come pure da paggi e ancelle che gli servivano i pannolini caldi con cui pulirsi le mani. Più questi piangono e stridono e più siamo soddisfatti. Più si contorcono le viscere al “manifesto” e a “Repubblica” e più godiamo come scimmie. Quando si vedrà qualche fatto del nuovo assetto, assumeremo la posizione del caso. La nostra meta resta la rivoluzione, non ci piove. Ma pare che non sia aria. Per ora non ci resta che perorare, con Bacone, la fase destruens di quanto c’è. Quella construens verrà quando il popolo elettore, o combattente, farà un altro passo.

Iraq, bella vittoria, ma occhio alla quinta colonna
Conosco e amo l’Iraq, antico, giovane, forte, nobilissimo, bello, dal 1977. Gli ho dedicato quattro documentari: “Genocidio nell’Eden”, “Popoli di troppo”, Un deserto chiamato pace” e “Chi vivrà…Iraq!”, titolo, questo, dedicato alla resistenza anti-Usa, ma che mi pare torni d’attualità. Pur avendo tra i piedi migliaia di americani, falsi amici e creatori e subacquei sostenitori delle orde Isis, pur avendone sofferte più di qualsiasi altro paese nel mondo dal dopoguerra mondiale a oggi, con infrastrutture, produzione, coltivazioni, istituzioni, annichilite, un genocidio di 3 milioni, l’Iraq ha resistito e, almeno contro il complotto atlantico-sionista-jihadista, ha vinto. E’anche riuscito ad addomesticare il separatismo curdo-israeliano e a riprendersi Mosul e Kirkuk. Gli Usa gli avevano sfasciato l’esercito, uno dei più efficaci nelle guerre contro Israele, e poi tutti a sghignazzare per come queste forze sbrindellate, improvvisate, disarmate. avessero ceduto di schianto davanti all’assalto di Al Baghdadi (lui, sì, ampiamente rifornito da aria e da terra dalla nota “coalizione a guida Usa”).



Alle elezioni politiche è arrivata prima (54 seggi) la non sorprendente coalizione “Sairun” di sadristi e comunisti. Dei secondi, storica quinta colonna controrivoluzionaria che, su diktat di Brezhnev, remava contro l’emancipazione civile e sociale e l’antimperialismo della rivoluzione del Baath, il ruolo assomiglia a quello di altri PC nel Terzo Mondo, dalla Bolivia che si vendette il Che, al Cile e all’Argentina delle profferte di collaborazione con i Gorilla. Giustamente premiate con 47 seggi, seconde, le milizie popolari scite-sunnite di “Fatah”, dirette da Hadi Al Amiri, quelle alle quali va il massimo merito della vittoria sull’Isis. Terzo , con 42 seggi, l’attuale primo ministro Al Abadi, che non a torto si è intestato la vittoria anche lui ed è uno che prova a barcamenarsi tra influenze opposte.

Moqtada al Sadr, uno Scilipoti col turbante e con gli artigli.
In vista di un’inevitabile coalizione, il pericolo per l’Iraq è il religioso Moqtada Al Sadr, una specie di Masaniello al tempo dell’invasione americana, che però molto comiziava e, diversamente da quanto gli viene attribuito, molto poco faceva sul piano della resistenza armata. Che era interamente ed eroicamente sostenuta per oltre un lustro dal Baath e dai saddamisti. Tanto che gli Usa non gli sfiorarono mai il turbante nero. A un certo punto si trasferì a Qom, in Iran, per perfezionare gli studi e diventare Ayatollah, intento in cui fallì. Fallì anche nel tentativo di farsi nominare dai protettori iraniani del nuovo Iraq loro fiduciario a Baghdad. Giustamente gli iraniani non si fidarono. Così il disinvolto manovratore di alcuni settori della Baghdad impoverita e capo di un “Esercito del Mahdi” che non ruppe mai neppure un uovo nel paniere degli occupanti, si rivolse alla controparte: nientemeno che all’estremista, insieme a Israele sbattitore di sciabole anti-Iran, Mohamed bin Salman, erede al trono saudita.

 Moqtada e Mohamed bin Salman

Oggi, con le garanzie dategli da Riyad, vorrebbe farsi vindice di un Iraq autonomo, nazionalista, pluriconfessionale (lui fino a ieri scita oltranzista), però alleato con i secessionisti curdi del gangster Barzani e virulentemente anti-iraniano. E anti-milizie popolari di Fatah, sostenute ed armate dall’Iran. Quelli che da anni denunciano le interferenze americane e ne rivelano i legami con l’Isis, sia nella battaglia di liberazione, sia nell’attuale ondata di attentati contro civili, tesa a mantenere l’Iraq in ginocchio. Ecco che, con il “manifesto” che si esalta per il termine “comunista” inserito nella coalizione di Moqtada, risulta lampante che questo religioso dallo sguardo torvo è l’uomo dell’imperialismo e dell’offensiva colonialista israelo-saudita. Cosa ci dice la geopolitica, offuscata dal chiacchiericcio sinistro-destro sulle alchimie di regime a Baghdad? Ci dice che o l’Iraq sta con l’Iran, o la sua fenomenale vittoria sul mercenariato imperialista resterà una meteora che passa veloce nel cielo buio del Medioriente.

Caracas, Stalingrado latinoamericana.
A forza di quante volte e quanto spesso si vota in Venezuela (pare la Jugoslavia di Milosevic), per queste presidenziali ha messo il dito nell’inchiostro appena il 47%. Più stanchezza e sicurezza da sondaggi che davano Maduro in largo vantaggio, che il boicottaggio proclamato dall’opposizione del MUD. Perché, se ci fosse stata una pervasiva volontà del popolo a uscire dal chavismo e cacciare Nicola Maduro, l’occasione glie l’avrebbe data Henri Falcon. Ex-chavista di rango, l’uomo è il classico rinnegato della rivoluzione che si era illuso di sentir spirare un vento antibolivariano, perfino tra molti sostenitori fin qui resistenti alle sirene del benessere assicurato dalle stesse forze esterne ed interne che per decenni avevano tenuto il paese alla mercè di quattro vampiri petrolieri e latifondisti e delle multinazionali Usa. Ha preso il 21,1% rispetto al trionfale 68% di Maduro. Flop formidabile alla luce di quanti disagi ha dovuto sostenere negli ultimi anni il popolo. Popolo che, evidentemente, dell’emancipazione bolivariana ha saputo fare patrimonio morale e intellettuale. Sanno bene cosa succederebbe a loro e ai popoli fratelli nel caso che vincesse il disegno amerikano.



Tutti si strappano i capelli per le disastrose condizioni economiche e per il costo sociale sostenuti dalla società bolivariana, con prezzi alle stelle, inflazione siderale, carenza dell’essenziale per sanità e alimentazione. Nessuno si ricorda dei due anni di guerra civile tentata dalla reazione foraggiata dagli Usa, con le relative morti e devastazioni. Nessuno fa caso a una feroce guerra economica condotta da quanto purtroppo permane in Venezuela di potentati economici, i terratenientes non ancora espropriati, banche e soprattutto grande distribuzione non ancora nazionalizzate e che hanno accanitamente lavorato a produrre penuria, imboscamenti e contrabbando con la vicina e ostile Colombia stelle e strisce. Qualcuno si ricorda, ma con rabbia, delle unghie tagliate ai grassi compradori, delle terre e case assegnate ai poveri, dell’istruzione universale gratuita e delle decine di università e cliniche aperte in tutto il paese.

Questa guerra, di fronte al contraccolpo subito, aumenterà di intensità. Gli psicopatici dell’apocalisse concentrati a Washington hanno subito annunciato nuove sanzioni, “a castigo di elezioni fraudolente che confermano una dittatura”. Nessuno degli osservatori da 30 paesi ha visto una sola irregolarità nel sistema di voto elettronico, giudicato il più avanzato e corretto del mondo. Sconfitta e risconfitta, in piazza e nell’urna, fortunatamente l’opposizione è divisa e senza proposte credibili. Intensificherà la collaborazione con Ong, servizi segreti esteri e la ultrareazionaria Chiesa del cardinale Parolin, segretario di Stato di Bergoglio,

A prescindere dalle carenze e dagli errori del governo bolivariano, sui quali tanto intingono i loro biscotti avvelenati i vari analisti, il nodo è geopolitico. Alla resistenza del Venezuela, capofila dell’Alba e di fronte ai cedimenti di Cuba ed Ecuador e le difficoltà del Nicaragua, sono legate le sorti della Bolivia di Morales. Non solo. Quelle dei popoli di tutto il continente e del ruolo costruttivo che per molte parti vi svolgono Russia e Cina. Il ricordo dell’Operazione kissingeriana del Condor, con i suoi eccidi, le sue torture, la sua fame, è vivo.
Un Nicaragua tipo Honduras?
Nel “manifesto”, Pieranni su Cina e Nordcorea, Battiston e Giordana su Afghanistan, Yuri Colombo su Russia, Claudia Fanti su Africa, Chiara Cruciati su Egitto, curdi e Medioriente, Marina Catucci sul primato morale e politico di Hillary, condividono, con coerenza e passione, seppure inghirlandato di dirittoumanismo, il punto di vista di Soros e dei suoi mandanti al Pentagono e al Dipartimento di Stato. Nei loro vasti domini cartacei e online, a volte si inserisce il pigolìo geopoliticamente corretto di Manlio Dinucci, forte in una rubrichetta in fondo alla pagina e in fondo al giornale. E fa un certo effetto vedere come questo francobollino, insieme a quell’altro della testatina “quotidiano comunista”, affranchino un pacco che è davvero un formidabile…pacco.

Nel quale in questi giorni ci arrivano, ormai del tutto sciolti da pudori e cosmesi sinistri, le cronache di tale Gianni Berretta dal Nicaragua incasinato nella classica rivoluzione colorata. Che per Berretta colorata non è per niente, bensì una rivolta democratica contro la tirannia della coppia orteghista al potere. Siamo nel solco dei lobbisti, con stella di David e stelle e strisce, come Guido Caldiron (ora al “manifesto”) che, da Liberazione, inneggiava alle adunate colorate della destra fascista libanese mirate a togliere a Israele il disturbo di Hezbollah. E come altri affini, a seguito di rivoluzioni varie, delle rose, dei gelsomini, dei garofani. Comunque di velluto, comunque intese, riuscite o meno, a costringere quei paesi sotto il segno di quella stella di Davide, di quelle stelle e strisce. Con tanto di milioncini di Soros. Già utilizzati per l'impresa hillariana del colpo di Stato in Honduras.



Una Maidan armena
Come ultimamente in Armenia, dove il parlamento democraticamente eletto e con chiara maggioranza filorussa, si è lasciato sopraffare dalla piazza capeggiata da un tribuno, Nikol Pashinyan, che elettoralmente valeva meno del 10%, ma aveva indosso mimetiche, dollari e sorrisi Usa. Così l’Armenia, amica di Mosca, si unirà all’Azerbaijan, colonia amerikana. Quella da cui dobbiamo importare il gas del Tap per eliminare quello russo, squarciarci l’ambiente e far fare profitti ai petrolieri con la vendita del gas all’estero. Un bel carcinoma geopolitico all’interno del quadro euroasiatico. Putin si è accontentato di generiche assicurazioni di continuità. Del resto i siriani ancora aspettano il sistema anti-aereo russo S-300, mentre Israele li bombarda un giorno e l’altro pure.

In Nicaragua ci sono luci ed ombre. Le ombre sono la concentrazione di potere politico ed economico nel giro attorno a Ortega, denunciata da molti ex-protagonisti della rivoluzione sandinista. Ma in Nicaragua sono stati sottratti alla povertà, pur in un ambiente che sa più di capitalismo caritatevole che di socialdemocrazia, milioni di persone, più di qualsiasi altro paese centroamericano. Del paese gli Usa non tollerano l’indipendenza, la partecipazione all’Alba, il costante schierarsi con il campo antimperialista, i cinesi che costruiscono un secondo canale dai Caraibi al Pacifico che minaccia di ridurre i profitti che loro e il loro cliente locale traggono da quello di Panama.

Non vi ha detto, questo Berretta, con il suo reportage di stile CNN, dove il governo di Managua appare una roba più brutta di Alien, che a scendere in piazza e a provocare una assolutamente stupida ed eccessiva reazione della polizia, con decine di morti, è stato quel che c’è di borghesia nicaraguense e che gli studenti erano quelli delle università private, cattoliche dei gesuiti in testa. Un’altra Maidan. Ma della geopolitica che minaccia di far saltare un'altra posizione nel fronte antimperialista al Berretta del “manifesto” non gliene cale. O forse sì. Ma in senso contrario al nostro.

A MELENDUGNO CONTRO IL TAP E ALTRE GRANDI DEVASTAZIONI

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Domenica, a Melendugno (Lecce), sulla cui spiaggia di San Foca dovrebbe abbattersi il gasdotto TAP  dall’Azerbaijan , imposto alla Puglia e all’Italia per stroncarci i rifornimenti dalla Russia, meno costosi e più vicini, verrà presentato il mio documentario “O la Troika o la Vita – Epicentro Sud”, che illustra le metodologie per uccidere paesi e nazioni economicamente, ambientalmente, socialmente e militarmente. 

Si passa da uno scenario mondiale, caratterizzato dal cannibalismo delle élite finanzmilitariste occidentali, alla Grecia, letteralmente genocidata, al Mediterraneo destabilizzato da flussi migratori indotti dalla strategia di svuotamento dei paesi dalle risorse da rapinare, all’Italia della devastazione fossile di terre e mari tramite TAP, piattaforme marine, gasdotto Adriatico della Snam, stoccaggi concentrati in zone a rischio sismico, fino ai territori terremotati caratterizzati da scandali, inefficienze e incurie, finalizzate a provocare l’abbandono demografico e il cambio di destinazione d’uso di terre ricchissime di patrimoni culturali e ambientali. 

Si chiama distruzione di autodeterminazione e sovranità, da quelle nazionali a quelle locali

Populisti ante portas, globalisti nel panico: e poi dicono che sono i russi a interferire nelle elezioni --- UE: VERSO IL BIO-TECNO-FASCISMO

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Ci si può illudere e nascondere dietro la formula della “crisi sistemica” del capitalismo, prodromo dell’inesorabile quanto follemente deterministica palingenesi dell’umanità. Ci si può consolare con la visione di un tagliateste (Cotarelli) senza maggioranza che poco avrebbe potuto fare prima che nuove elezioni oppongano al golpe morbido un contraltare elettorale dell’80%. Qualcuno ripiegherà verso il “meno peggio”, inteso come superamento del pericolo mortale “fascioleghista e populista”. Lo scambio tra carnefice e vittima (organico ai nostri tempi) gli consente di convivere con il faux pas mattarelliano per cui la poco istituzionale giustificazione adotta per l’annientamento di una maggioranza di governo, espressa dalla sovranità popolare sancita dalla costituzione, sarebbe “l’irritazione dei mercati”. Quelli che, a loro amici, secondo gli eurofeudatari tedeschi dovrebbero insegnare agli italiani a votarsi contro. E guai a irritare Giove. Per placarlo tocca sgozzare qualcuno sull’ara, fossero anche 17 milioni di elettori. E’ la ciambella di salvataggio che lanciano all’uomo di Castellamare del Golfo (ministro della Difesa che bombardò Belgrado) i progressisti delle varie squalificazioni: dai “comunisti “ sorosiani del manifesto, ai Liberi e Uguali sottopancia del PD, ai benemeriti Cia  di tutta quanta la democratica stampa coloniale.

No Tap e capisci tutto
Era domenica sera a Melendugno, cittadina a cui il gasdotto mafio-amerikano TAP vorrebbe squarciare San Foca, la più bella spiaggia del Salento, prima di sradicare, in combutta con un falso batterio ulivicida, migliaia di ulivi, ossa, pelle e anima della Puglia, per risalire la penisola lungo la faglia sismica che ha raso al suolo il Centroitalia e sistemare miliardi di tonnellate di gas sottoterra nella bassa padana, in una concentrazione demenziale di stoccaggi, a sollecitazione di altre potenzialità sismiche. Gas che serve al Nordeuropa (noi ne siamo saturi) e ai vari tangentari lungo il percorso dall’Azerbaijan.
Insieme alla mia guida pugliese, Francesco, nel bel cinema “Paradiso”, presentavamo il mio documentario “O la Troika o la Vita - Epicentro Sud”, una specie di compendio audiovisivo della guerra che i poteri globalisti conducono contro il Sud d’Europa e del mondo, a forza di Grandi Opere, guerre e migrazioni coatte o indotte. Con sottotitolo: “Non si uccidono così anche le nazioni?”.

La madre di tutti i Mattarella e Cotarelli
Mentre stavo sul palco, via smartphone arriva la notizia della rinuncia del premier incaricato, Conte, causa veto al suo ministro economico di un Mattarella mutato in Mitterand, o Trump, o Poroshenko e, un istante dopo, il minaccioso annuncio che a pensare a noi, e in particolare ai 17 milioni di elettori M5S e Lega, ci sarebbe stato Carlo Cotarelli. A ciò nominato da Mattarella, ma a ciò demandato da una catena decisionale che da Draghi (BCE) risale al FMI dell’inquisita Lagarde, alla Trilateral, il cui fondatore Rockefeller era appena stato beatificato al Quirinale dal nostro pontefice siculo-laico, dunque a Bilderberg, via GoldmanSachs, scuola quadri di tutti loro, per culminare nei siderali spazi dorati dei signori della moneta. Il tutto, come ci insegna Mattarella, si chiama “mercati”. E, come tale, è indiscutibile, inesorabile, implacabile.


In platea c’era un centinaio di persone a rappresentanza di un popolo che, guidato da un Comitato di attivisti, scienziati, giuristi e da un sindaco, Marco Potì, di quelli che ce ne fossero, da quasi due lustri lotta contro lo stupro che prosseneti del gangsterismo capitalistico vogliono infliggere alla loro terra. Popolo che, a sentire gli esiti della manovra quirinalesca, evidentemente pianificata fin dal primo exitpoll favorevole ai “populisti”, non ha esitato a esplodere, come un sol uomo, in un ruggito di consapevole indignazione e collera. Quando tu, radicato nel territorio e nella Storia, da anni ti devi confrontare con aggressori che ti rivolgono contro le armi del sopruso, dell’inganno, delle blandizie, dei diritti interpretati a rovescio, dello strangolamento economico, per sostituirsi a te, alla tua gente, al tuo futuro, le armi oggi brandite contro chi hai eletto, è difficile che un quirinalizio qualsiasi ti possa fregare. Sai cosa c’è dietro, come hai capito cosa ci fosse dietro alle escavatrici, ai manganelli, al “gas per lo sviluppo della tua regione”.

Mondialismo versus sovranità popolare
Tante le analisi della “crisi sistemica”,  del presidente fedele alla, o traditore della, Costituzione,  del Draghi, drago che sputa spread tossici non comprando più titoli italiani, del Mattarella commissariato dall’UE che commissaria governo, parlamento e voto democratico, del Cottarelli virgulto tagliateste FMI che, avendo iniziato, e non terminato, con la “spending review”,  a trasferire in alto e lontano  ricchezza e risparmio degli italiani, è ora incaricato di farla finita con il welfare, la sanità, l’istruzione, l’ambiente, il lavoro. Tutto qui. E’ bastato il sindaco di Melendugno, Marco, a farci allungare lo sguardo ricordando, tra una Napoli e una Margherita, che la cosa forse più importante da fare, dettata da quelli in alto a Cotarelli,  sono le nomine. E’anche e molto da chi metti a capo di Leonardo, Fincantieri, le varie partecipate dello Stato, i servizi, la RAI, che dipende la svendita dei saldi nazionali,  la morbida prosecuzione della grecizzizazione dell’Italia e quindi della desovranizzazione del paese-chiave per Mediterraneo, Africa-Medioriente nel processo di mondializzazione (scusate i tre brutti termini assonanti).


Venendo all’ambaradan allestito al Quirinale in questi giorni per bloccare l’avvento dei “populisti”  e imporre, insieme a un blocco di costoro, che si vorrà in qualche maniera definitivo (vediamo quali altri golpe e golpetti si inventeranno), il sicario voluto dai poteri forti, mi pare ovvio che il nodo “Savona” sia stato un trasparente pretesto per detto blocco e che il furbo Salvini lo abbia condiviso per arrivare a nuove elezioni. Elezioni annunciate dai sondaggi  per lui redditizie, tanto da farlo prevalere definitivamente sul volatile Di Maio, all'affannosa ricerca di captationes benevolentiae e su un deludente e politicamente frastagliato M5S.

A sinistra i ragazzi di bottega
Comunque, qui la questione è infinitamente più grande e testimonia della sclerosi delle sedicenti sinistre il non avvertirne la portata strategica globale. I grandi poteri storici che si esprimono nella finanza e nel militare e utilizzano alcuni Stati forti, come Usa, UK, Germania, per eliminare dalla scena elementi di contrasto che pretendono di avvalersi di costituzioni e sovranità, dalla fine della seconda guerra mondiale manovrano, complottano, drogano, ricattano, invadono, per arrivare a un dominio mondiale che si può ben definire bio-tecno-fascismo. Si chiama globalismo, globalizzazione, mondialismo. Uno dei frutti più riusciti, tali da ridurre ai minimi termini le sovranità democratiche e sociali sorte dalla guerra antifascista, promosso e finanziato dagli Usa fin dal 1948, è l’Unione Europea, modello di anti-democrazia,  con lo strumento valutario della sua dittatura economica, l’euro. Si capisce, allora, l’infingarda strumentalità di certe campagne di distrazione di massa, come quell’ “antifascismo militante”  che se la prende con un infimo folklore, pretende di difendere una democrazia che è un mero simulacro e non vede l’ombra nera del totalitarismo che incombe su noi, sul mondo.
Destra - sinistra

Nazionale o sovranazionale?
Ogni organismo sovranazionale è una piede di porco del mondialismo, dall’UE alla Nato, dal WTO al FMI, dalla BCE al G7, all’ UNHCR che, insieme alle Ong private, governa l’operazione mondialista “migranti” e ai vari trattati transnazionali come TTIP o CETA, e ha per fine l’annientamento della sovranità popolare. Sovranità che rappresenta un ostacolo sia quando si esprime a livello nazionale, nello Stato autodeterminato in legge, economia, socialità, cultura, territorio, sia quando rappresenta il controllo delle popolazioni su territorio, e relativi patrimonio storico, economia, produzione, cultura, progettualità. Vedi gli assalti transnazionali con le Grandi Opere alla Val di Susa, al Salento, a Sardegna e Sicilia con le basi militari, vedi lo svuotamento coatto dei territori terremotati con la rinuncia a ogni ricostruzione e, in generale, dell’improduttivo Sud italiano, vedi la fine della nostra indipendenza alimentare con l’abbandono dell’agricoltura di qualità a vantaggio dello scadente import delle multinazionali. La gigantesca concentrazione di stoccaggi di gas nella bassa padana, in cui lavorano poche decine di tecnici, oltre a costituire un rischio spaventoso per le popolazioni, ha preso il posto di campi che davano lavoro alla regione  e cibo a mezza Italia.


In questi anni abbiamo visto, e in parte ho filmato e raccontato, una serie di “regime change”, colpi di Stato militari, parlamentari, di piazza, guerre e terrorismi: Ucraina, Georgia, Jugoslavia, Honduras, Paraguay, Brasile, Iraq, Libia, Siria, Egitto…In parallelo hanno funzionato i tentacoli economici della piovra, i cannibali dei cosiddetti “mercati” e i loro sicari delle agenzie di rating.

Il Regime change del Quirinale
Tutti della stessa matrice, tutti finalizzati a distruggere autodeterminazione e sovranità. Tutti e tanti altri complotti chiamati rivoluzioni colorate, o sradicamento di popolazioni collocate su depositi di risorse utili al capitale, definito “fughe da fame e guerre”, accompagnati dal plauso di quinte colonne mondialiste, mimetizzate da difensori dei diritti umani. E non è un regime changequello a cui abbiamo assistito in questa primavera arroventata, più che dai gradi, dai degradi della vita politica, civile?  Non lo è quando, subite ingiunzioni da fuori di casa nostra, l’amministratore del condominio butta fuori 17 milioni di inquilini e lo consegna a uno che manco paga l’affitto?


Il laboratorio di Frankenstein
Noi siamo da sempre un laboratorio per operazioni globali. Perlopiù criminogene, sempre antipopolari. Un caso di scuola è la coabitazione tra criminalità organizzata e criminalità politica. Impostaci dagli Usa nel 1945 e felicemente vissuta dai successivi governi di sostanza, o anima, democristiana. Poi adottata a largo raggio. E’ bastata l’incrinatura, provocata da elementi spuri, nella placida consociazione storica tra dominanti e opposizione di sua maestà, consolidatasi in Nato e UE, perché si scatenasse il trambusto cui assistiamo. E’ bastato che qualcuno avesse, alle elementari, espresso qualche dubbio sulla divinità mammonica dell’euro,  è bastato che riecheggiasse al di sotto delle Alpi la formula “prima gli italiani”, che si prendesse sul serio un possibilissimo reddito di cittadinanza. E’ bastato che si sfiorasse la parola “ambiente”, si sospettasse che quest’Europa dell’austerity non serve che a trasferire grana e grano dal basso in alto, che i migranti servissero a farci pagare con le noccioline. Basta e avanza alla grande che si sia osato esprimere riserve sulle missioni militari, come sulla guerra alla Siria.

Mamma li russi!
E qui entriamo in un capitolo che alle sinistre è ostico da quando, con il crollo del muro, è finito il loro punto geopolitico di riferimento e si sono accomodati sotto quello uccidentale. Assolutamente terrorizzante rispetto a un piano strategico coccolato da Yalta in poi era il profumno geopolitico che aleggiava sopra il contratto Salvimaio: un rapporto con la Russia non basato su russofobia a 360 gradi, minacce nucleari, terroristi e provocatori False Flag, satanizzazione di Putin. E che rifiutava le sanzioni, cosa che, vista l’unanimità richieste in queste cose dall’UE, minacciava di far saltare un accerchiamento all’orso russo ininterrottamente progredito da Bush Senior a Trump. Possiamo giurarci che qui, sul negoziato al Quirinale, si è abbattuta, come un rigore di Ronaldo, la gamba tesa di Washington.

Ma, più di ogni altra cosa, è bastato a sconvolgere l’élite il riecheggiare da un capo all’altro della penisola del termine anatemizzato, intollerabile, funesto, coda del diavolo: sovranità. Che poi è sinonimo di libertà. Parole brevi, secche, tronche. Ma ci sono morti in troppi per dimenticarle.

A prescindere dalla maggiore o minore qualità dei politici che hanno dato voce a queste “impertinenze”, quello che ha fatto aprire le porte dell’inferno sono stati i 17 milioni di italiani che,  coscienti perché dotati della maschera antigas dell’intelligenza, hanno dato la maggioranza a un impeto di contrasto e cambiamento. E non sono neanche i soli. Vediamo, ora, cosa si inventeranno per fermarli. Quegli altri sono pochi, ma capaci di tutto. E, visto che la Chiesa si è subito sbracciata in difesa dell’uomo al Quirinale, cioè della divinità parallela Mercati,  hanno dalla loro anche il papa.

 Sguardo innocente

Il ’68 che inizia da bambino e non finisce da vegliardo, perché nostra patria è il mondo intero, ma nostra nazione è l’Italia “UN SESSANTOTTO LUNGO UNA VITA”, DA FASCIO E SVASTICA A GLOBALISMO BIO-TECNO-FASCISTA

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Dopo la prima edizione, esaurita in 15 giorni, escono la seconda edizione italiana, ampliata di un buon terzo, e la prima tedesca, onorate dalla prefazione di Vladimiro Giacchè e tormentate dal mio disordine cronologico, geografico e tematico, di un racconto di vita tra rivoluzione, controrivoluzione, stagnazione, combattenti, amici del giaguaro e utili idioti. Chiedetela o ordinatela in libreria, o consultate www.zambon.net
E’ il cinquantesimo - mezzo secolo e pare ieri, ma anche un altro evo, altro pianeta – del fenomeno storico chiamato “Sessantotto”, “’68”, ma che abbraccia un intero decennio, 1968-1977, almeno in Italia dove è stato il più longevo. Se uno alla lettura di questo lancio lunghetto preferisce la volatile ma rapida soluzione audio, ecco il link dell’intervista fattami da Radio Cusano Campus: http://www.tag24.it/podcast/fulvio-grimaldi-il-68/.  E al seguente link  c’è anche una generosa recensione di Stefano Zecchinelli: http://www.linterferenza.info/cultura/un-sessantotto-lungo-vita/

 Un invito della Bundesrepublik all’eversore
Succede che alla vigilia dell’epocale ricorrenza ricevo l’altamente sospetto invito della “Bundeszentrale fuer Politische Bildung”, organismo della Bundesrepublik che si definisce dedito alla “formazione della cultura politica”.  Mi chiedono, nella mia qualità, che per un governo neoliberista e Nato avrei dovuto credere invisa, di esponente del ‘68, neanche di primissimo piano, di scrivere un contributo per una raccolta di testi di testimoni dei vari paesi coinvolti: “Ci racconti il suo Sessantotto, una cinquantina di pagine… Insieme a quelle di militanti, analisti, storici, tedeschi e di altri paesi, formeranno una raccolta che accompagnerà una grande mostra ad Aquisgrana, da aprile ad agosto 2018, intitolata “Bagliori del futuro, l’arte dei sessantottini, ovvero il potere dei senza potere”.


Forse la scelta della mia persona è dovuta al fatto gli sarà capitata sotto gli occhi copia del quotidiano “Lotta Continua”, di cui sono stato direttore dal 1972 al 1975. E magari le cronache giudiziarie dei miei circa 150 processi o denunce per reati di stampa: record assoluto in Europa.  Comunque trovo iltitolo azzeccato, quello della mostra di Aquisgrana, per niente denigratorio, anzi proprio bello, ma che non ha dissolto i sospetti che non potevano non nutrirsi sulla genuinità degli intenti, la correttezza storica, l’imparzialità della valutazione politica di un governo che del ’68 è l’antitesi. Era, dopotutto, l’iniziativa di uno Stato che aveva “suicidato” in carcere i capi della RAF, Rote Armee Fraktion, gente della cui autenticità è stata prova, insieme ad altre, proprio quella esecuzione. Finale diverso da quello di chi, da noi, se l’è cavata e oggi pontifica da schermi e giornali ad avallo della colossale mistificazione di uno Stato complice.

Ma mi sono dovuto ricredere. Il mio testo, da reduce per niente pentito, abbastanza elogiativo nei confronti del movimento, intanto non è stato censurato e mi ha guadagnato i complimenti, direi quasi partecipi, del responsabile dell’intero progetto. La mostra di arti figurative, per le quali la raccolta fungeva da catalogo, aveva un carattere evocativo segnato da rispetto, addirittura ammirazione e rimpianto, per qualcosa di prezioso amaramente perduto. E tali erano anche  gli interventi dei politici del Land e della Repubblica Federale. Furbizia? Generosità nei confronti dei vinti? Spazi di imparzialità imposti da una tradizione di storici dignitosi? In ogni modo, nell’insieme, un’operazione democratica. Da noi inconcepibile.

In Italia, invece, sul cinquantenario si sono buttati a pesce pochi titolati e molti abusivi. Forse, se per il ’68 italiano hanno scelto me, anziché un Sofri, un Bologna, un Fofi, una Castellina, un Viale, un Mordenti, un Capanna, un Boato, un Erri De Luca che, insieme alle Alpi, scala le vette del sionismo, oppure altri, fasulli e millantatori, promossisi militanti o esperti ex-post per approfittare dell’ondata editoriale, è dovuto al  fatto che, forse, qualcuno della “Bundeszentrale” è incappato in una delle trasmissioni, interviste, tavole rotonde, del popolare giornalista e politologo Ken Jebsen. Jebsen, odiatissimo dalle truppe radical-trendy, russofobe e di complemento al sistema capital-globalista, è giornalista di riferimento in Germania per l’opinione antimperialista, antiliberista e sovranista. Ne sono stato ripetutamente ospite. E i vagliatori dei reduci del ’68 si saranno resi conto che, diversamente da molti dei sopra citati e di tanti altri, il sottoscritto non aveva cambiato casacca, trincea, amici e nemici, e che questa continuità poteva perciò essere più aderente a un progetto storico obiettivo, rispetto a chi da eversore si era fatto grillo parlante, da incendiario pompiere e perfino manganello dell’establishment.

Chi c’era e chi ci faceva
Rapidamente. Dall’intesa tra la “Bundeszentrale” e Zambon, editore di altri miei libri, il contributo alla raccolta dei vari sessantottini si evolve in libro: ““68 ein Leben lang”. Dal quale, visto la superfetazione di pubblicazioni, seminari, convegni, inserti, raduni vintage, abbiamo pensato, Zambon, il suo collaboratore Fabio ed io, non sarebbe stato inopportuno trarre anche un’edizione italiana. Più lunga di quella tedesca, visto anche che per caratteristiche di durata, molteplicità dei soggetti, spessore dell’elaborazione teorica e ricchezza di quella pratica, il Movimento in Italia supera per importanza storica e politica quello più effimero di Francia, Germania, paesi anglosassoni e, semmai, trova paralleli nelle resistenze latinoamericane, nelle lotte anticoloniali del Terzo Mondo, in Palestina e nel nazionalismo arabo, nell’antimperialismo del Vietnam, nelle rivolte civili. Dove perlopiù, tra le varie organizzazioni italiane, eravamo presenti da comunicatori e partecipanti. Nostri fratelli erano i Tupamaros, l’ERP, i fedayin, l’Ira, Irlanda del Nord, Palestina e Libano, Che Guevara, il Portogallo dei Garofani. Il PCI su queste cose si ingarbugliava e poi bloccava. L’onesto Berlinguer, scegliendo Nato e DC, gli aveva sparato la pera tossica finale. Il “manifesto” di Rossanda, Castellina e altri della tribù, ciurlava nel manico, calmierava, obnubilava il proletariato con una sovracultura astrusa e inaccessibile, destinata a farci sentire tutti inadeguati, cretini.

Quando Sofri e la sua conventicola presero a blaterare di socialimperialismo, concetto balordo e infondato, vollero inserire nella nostra galleria pure i Solidarnosc polacchi, mobilitati dal Papa guerrafondaio in Jugoslavia e finanziati da italiani, europei e americani embedded con la Cia, checchè si volesse dire del generale Jaruzelzki e dei sovietici, la crepa aperta nel movimento prese a sanguinare e  si sarebbe allargata fino al dissanguamento. Il PCI su queste cose si ingarbugliava e poi bloccava. L’onesto Berlinguer, scegliendo Nato e DC, gli aveva sparato la pera tossica finale. Il “manifesto” di Rossanda, Castellina e altri della tribù, ciurlava nel manico, calmierava, obnubilava il proletariato con una sovracultura astrusa e inaccessibile, destinata a farci sentire tutti inadeguati, cretini.
Con i detriti di Solidarnosc il Nostro allestisce oggi rievocazioni spurie del ’68, dipanando un filo che, fin dal salto della quaglia da Lotta Continua a Pannella e Craxi, ai jihadisti ceceni, lo ha reso cantore, sulla pubblicistica berlusconiana e debenedettiana, di ogni operazione imperialista made in globalizzazione e russofobia. Altri del suo “giro”, si sono inguattati nelle alcove di lusso delle presstitute, con ovunque quell’esposizione e rilevanza che premia i venduti e offre soddisfazioni ai loro acquirenti.


Noterete che non c’è campagna di distrazione di massa dai temi che dovrebbero mobilitare quelli che stanno sotto, perlopiù gestite e finanziate da Soros e dai suoi apparati, che non veda in prima fila un “ex”: identificazione di paesi da radere al suolo perché guidati da “dittatori”; migranti da accogliere purchè sguarniscano di forze i paesi d’origine, si prestino alle nuove forme di schiavitù e abbattano i diritti dei lavoratori in quelli d’arrivo; tutta l’ossessiva panoplia  dei cosiddetti diritti civili, dai matrimoni unisex alle adozioni da uteri in affitto, alla criminalizzazione di un genere in quanto tale e la divinizzazione dell’altro in quanto tale, a fini di  frammentazione sociale e di ostilità indotte tra gruppi che perdono di vista il nemico comune.

Fin dalle prime battute il decennio insurrezionale ha visto chi, più che esserci, ci faceva. Serpeggiavano tra le file dei nostri soggetti rivoluzionari: operai, studenti, intellettuali, precari, sottoproletari, inquadrati in strutture autoritarie come esercito e polizia, combattenti contro la devastazione del patrimonio ambientale. Spesso mandati a estremizzare. Al momento giusto sparivano. Un’infima minoranza, ma di gente molto in vista, anche  perché fatta emergere apposta e bene attrezzata. Parte del merito della vittoria della controrivoluzione e della “restaurazione progressista”, le va riconosciuto. Insieme alla militarizzazione dello scontro affidato agli apparati dello Stato, a cominciare dal mai defunto Gladio, dai servizi esteri, dagli infiltrati che oggi il Sistema manda a imbrogliarci dagli schermi con versioni degne di quelle rifilateci sull’11 settembre.

Costoro, insieme a entusiasmi strabordanti la realtà, sbandate velleitarie, fanciullesche ingenuità, astute mistificazioni e brutale cinismo del nemico interno ed esterno, ci hanno scavato la fossa. Solo che fossa non era, ma cavità di un flusso carsico che si vede riemergere in altri tempi e altri luoghi, in forme e linguaggi diversi, ma che in comune con il nostro decennio hanno il gigantesco NO all’esistente che punta a diventare un gigantesco SI per il futuro. Una volta o l’altra riemergerà anche da noi. Nel recente voto il NO è già ricomparso. Ora si tratta di garantirci un SI come si deve.


Cosa unisce Italia e Nicaragua, Soros e il manifesto? MAIDAN E FAKE NEWS PER TUTTI Sul Salvimaio piomba il destabilizzatore globalista

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Presstitute di vocazione e di occasione
C’è la callgirl, ragazza-squillo, che tra le tante professioni possibili sceglie quella che le risulta più connaturata, o facile, o remunerativa, o perché non ha gli strumenti per fare altro. E c’è la signora irreprensibile che, pissi pissi bau bau, la molla a Weinstein e affini, anche in altri campi, per fare quel film, quella carriera, ottenere quella celebrità, quella promozione, mettere all’angolo quella collega. Per poi magari arruolarsi tra le #me too per la guerra al maschio in quanto tale (sia detto con ogni rispetto per chi ha subito violenza). Le due categorie, ma storicamente di più la seconda, possono anche essere interpretate al maschile.

Qualcuno di lessico anglosassone, sempre fertile di azzeccati neologismi, riferendosi al mondo del giornalismo, ha coniato “presstitute”, dove la desinenza che richiama il termine con cui si definisce il cosiddetto più antico mestiere del mondo è preceduta dalla scritta che, di questi giorni, vediamo stampata sui giubbetti antiproiettile  di coloro che si avvicendano tra tiratori scelti israeliani e infermiere palestinesi da squarciare sghignazzando. Il lemma si carica di peso specifico maggiore quando riferito alla  categoria delle fraschette amatoriali e di peso minore nel caso della battona professionale. La prestatrice d’opera amatoriale, mimetizzata da vergine dei sette veli, invece, vanta un indice di presstitutismo più alto, giacchè, ci frega: passata per Weinstein,.giura di aver lavorato esclusivamente con Ermanno Olmi.

La metafora sarà arzigogolata, ma calza. Parliamo con ogni evidenza dei giornaloni e  delle televisionone di regime, nel primo caso e, nel secondo, di chi si presenta in edicola inalberando il vessillo della critica, della diversità, del fuori-dai-giochi-del-potere. E la metafora diventa addirittura trasparente se veniamo a due fatti di oggi, uno domestico, l’altro estero. Quello di rilevanza internazionale è la sommossa in corso in Nicaragua. Incredibilmente trattata alla stessa stregua dai media di regime, che fanno il loro mestiere (vedi prima categoria) e dalla stampa sedicente di sinistra, che parrebbe storicamente più vicina  a Fidel che al generale Pinochet. Per entrambi la versione è univoca e inconfutabile:  genocidio del proprio popolo per mano dell’ennesimo dittatore comunista, rivoluzionario sandinista partito dalle stelle e finito alle stalle. Ne parleremo più sotto. Partiamo con le cose di casa nostra.

Soros deflagra a Trento: Salvimaio al servizio dello zar!

comparielli

Nel mio ultimo articolo “Populisti ante portas, globalisti nel panico” mi sono ritrovato solo soletto, con il titoletto “Mamma, li russi!”, ad attribuire l’avversione di Mattarella e dei suoi sponsor euroamericani al governo Lega-Cinque Stelle, non tanto a conti e coperture, non tanto all’eurologo impertinente Savona, alla Flat Tax, o alla demolizione della Fornero,  quanto ad altre, più gravi ragioni: l’apertura ai russi, il rifiuto delle sanzioni. la collaterale ostilità alle missioni militari (tutte intimamente anti-russe) e l’opposizione alla valanga migratoria.

 “Sono i russi a interferire e a pagarli”


Ricordate la foto del sorridente incontro tra il premier Gentiloni e George Soros, inaspettatamente schizzato fuori dal caveau di rapinatore più ricco del mondo (o quasi) e piombato a Palazzo Chigi per porre freno a quello che “il manifesto”, le varie monadi “di sinistra”, il papa e le cooperative prosperate sui migranti, consideravano il più grave crimine contro l’umanità dai tempi delle leggi razziali e di Auschwitz? Il sacrilegio che aveva precipitato l’arrivo dell’alto sacerdote della non-interferenza negli affari altrui era l’inaudita incriminazione  di alcune procure delle Ong per aver trafficato con i trafficanti e il modesto tentativo di Minniti di porre sotto sorveglianza giudiziaria e finanziaria il naviglio di queste Ong. Empia profanazione, poi, era stato il trasferimento a organismi pubblici, lo Stato italiano e la Guardia Costiera Libica, per quanto male in arnese, del controllo di un fenomeno sociale finito in mani private. In particolare di quelle prensili, artigliate e palmate sue, di Soros.

Il mondialista Soros, cui ogni epifania di sovranità, ovunque si manifesti fuori da Washington o Tel Aviv, fa lo stesso effetto di un cespuglio di aglio a Dracula, con le zanne che gli si arrotano e le rughe dei suoi vizi di killer monetario che gli si aggrovigliano, si è riprecipitato in Italia domenica a Trento, al congeniale Festival dell’Economia. Qui si è manifestato in pubblico con un tonitruante discorso su quanto fosse centrale ciò che a me era parso arguire dal pigolìo anti-Salvimaio di Mattarella e dagli ululati antitaliani dal Nord Europa. “Salvini e Di Maio sono la longa mano di Mosca e rappresentano una minaccia mortale alla comunità internazionale (intesa come Occidente, anzi come Nato).  Dobbiamo sapere se il nuovo governo è a libro paga di Putin, un uomo che non vuole distruggere l’Europa, perchè ne ha bisogno (compra il suo gas), ma la vuole dominare, per cui Salvini e il nuovo governo sono da ascrivere ai nemici interni dell’Europa”. Ovviamente un misto pestifero di balle, illazioni, calunnie, ricatti, tipico del figuro. Un’accusa a Mosca di interferire, magari pure con i soldi, nelle vicende politiche italiane, mossa da uno come Soros che, per conto degli Usa, non c’è angolo del mondo dove non abbia messo i suoi soldi e le sue Ong mercenarie, significa, perdonatemi l’eleganza, davvero avere quella faccia di rospo incartapecorito come il suo culo.


Al megabotto di Soros, cocotte e mignotte hanno subito aggiunto i propri petardi, segno di quanto terrore suscita nel gangsterismo occidentale l’epifania di qualcuno che prospetta – solo prospetta! - di far qualcosa contro mafie, corruzione, speculazione, spoliazione, impoverimento, invasioni, guerre, sopraffazione, asservimento. Imbattibili i tabloid scandalistici (nel senso che non vi si fa giornalismo, ma scandalo) della stampa d’ordine: richiami in prima, peana editoriali alla denuncia della tremenda minaccia dell’unno del Cremlino e analisi terrorizzanti, per pompare il “j’accuse” dell’ebreo ungherese. Quello che testè è stato salutarmente cacciato dal suo paese d’origine e da altri latinoamericani dove, come al solito, sobillava. E non certo nell’interesse dei magiari.  

La transustanziazione dell’uomo con i padroni della stampa occidentale, di destra e sinistra, ci si presenta nel nome di solidarietà, fratellanza, integrazione. Ciò che non si vede tra tanta bontà è il segno di un’operazione colonialista intesa alla riproposizione di quanto  passò nell’Inghilterra dell’800, nelle sue colonie e nelle filande di Manchester. O anche a farci rivivere i fasti  di chi venne strappato dalla sua qualità di uomo in Africa per farsi ridurre a schiavo nei campi di cotone.

Un filantropo che nella sua sciaguratamente lunga attività ha fatto saltare la banca d’Inghilterra per ridurla al servizio della Federal Reserve, che, insieme a Draghi e Andreatta, nel ’92, ha attaccato e fatto svalutare del 30% la lira, facendo bruciare a Ciampi 40mila miliardi, onde permettere a premier fedifraghi di svendere, ridotta a saldi, la migliore parte del nostro apparato produttivo. E’ da tale soggetto che si lasciano reclutare, istigare, finanziare le varie Ong vendipatria nei paesi da destabilizzare e quelle che servono la strategia mondialista dello sradicamento dei popoli dalle terre da depredare, per farne rifiuti da riciclare nella discarica Italia (già sono iniziati gli annegamenti ricattatori, vedrete come aumenteranno). Un energumeno del finanz-banditismo che ha rovinato economie di intere nazioni speculando sulle valute nazionali, che ha finanziato tutti le rivoluzioni colorate, i golpe e i regime change dell’imperialismo, a partire dalla Belgrado di Otpor e di radio B-92, cara al “manifesto” e a Casarini, alla Maidan ucraina fino  e all’attuale sovversione nicaraguense.

Managua: manifestazioni non violente...

“Il manifesto” con Soros in Nicaragua
Non alla Siria, che resiste a 7 anni di stragi, non al Venezuela sabotato nella sopravvivenza del suo popolo, non a Kiev nel pantano della corruzione attraversato da caimani nazisti, non al Donbass da prendere con la fame, non al Congo decimato dai mercenari delle multinazionali, non all’Iran nella morsa delle sanzioni e delle minacce, non alla Grecia con l’ulteriore stretta del cappio della Troika al collo. No, il massimo spazio, fino a due paginoni zeppi di immagini spezzacuore di vittime della repressione di Ortega, le pagine estere del “manifesto” le impegnano sul Nicaragua. Sulla bellissima rivoluzione democratica e pacifica e sulla demonizzazione della sua direzione politica: Daniel Ortega e la moglie Rosario Murillo. E i reportages, firmati da Gianni Berretta, fanno apparire quelli della stampa di regime, pur veementemente antisandinista, analisi problematiche, con innesti di voci alternative.

Definire rivoltante queste cronache di una unilateralità pro-rivoltosi di stampo orwelliano, di una totale assenza di dubbi, di un livore anti-sandinista senza controllo, che offenderebbero il più lasco concetto di deontologia giornalistica, è poco. Definisce un evidentissimo pogrom, scattato ad aprile, con il pretesto di un provvedimento sulla previdenza, compensato da altre misure, elogiativamente “rivoluzioni colorata”, nella linea di un “quotidiano comunista”  che le “rivoluzioni colorate” di CIA, NED e Soros,.le ha sostenute tutte. Per Berretta, la rivolta è formata da società civile, impresa privata (sic!) e studenti. Che l’impresa privata sia la Confindustria e gli studenti siano tutti delle università private e scuole cattoliche e non delle statali, non suscita interrogativi. Le forze di polizia e militari attaccherebbero i pacifici contestatori,  laddove a tali forze Ortega ha ordinato di non usare armi da fuoco, per cui gli oltre 100 morti di due mesi di rivolta  dovrebbero far pensare ai “manifestanti non violenti” di Kiev, Bengasi e Deraa in Siria.  Naturalmente non una riga viene dedicata alle manifestazioni in appoggio al governo, sebbene di decine di migliaia di persone.



In Berretta i termini “dittatura, corruzione, potere patologico, massacri…” pervadono come un vaiolo una cronaca che si fa forte dell’evidente sostegno dell’episcopato agli insorti (come ovunque nell’America Latina di Bergoglio), seppure mistificato dall’invito al dialogo tra le parti, invito poi unilateralmente dalla Chiesa interrotto, perché “Ortega non ritira la polizia dalle strade”, lasciando campo libero alla teppa armata. Questo formidabile interprete della politica estera del “manifesto” riesce a marchiare la rivoluzione sandinista, per quanto annacquata, ma comunque responsabile di una grandiosa eliminazione delle diseguaglianze e del riscatto di milioni di poveri, di “analogia e continuismo con la dittatura di Somoza”, l’arnese più brutale e scellerato che gli yankees abbiano imposto all’America Latina. Quello da cui passava le sue vacanze Santa Madre Teresa di Calcutta.

Ovviamente passa sotto silenzio e del tutto irrilevante l’interesse che potrebbero avere gli Usa a rovesciare un governo  che già  aveva inflitto una sconfitta ai  mercenari Contras finanziati con la droga e il traffico d’armi con l’Iran.  Un governo che impedisce la normalizzazione del Centroamerica, iniziata con il golpe in Honduras e ormai affermata dal Messico alla Colombia. Un governo  che, facendosi costruire dai cinesi – orrore! -  il nuovo canale tra i due oceani minaccia di mettere fuori mercato quello amerikano del Panama. Quisquilie che non valgono certo un regime change. Che un abbattimento del governo Ortega significhi, come successo in Honduras, Brasile, Argentina, Ecuador e come tentato in tutto il subcontinente, una catastrofe sul piano geopolitico per i popoli in cerca di emancipazione, è un dato che non interessa al “manifesto”. O forse sì. Ma dall’altro lato.

Dal 23 aprile manipoli di estremisti di destra uccidono sostenitori del governo e passanti, attaccano e incendiano uffici amministrativi e stazioni di polizia, vandalizzano e saccheggiano il piccolo commercio, distruggono autobus, taxi veicoli privati, allestiscono posti blocco alla maniera delle guerimbas venezuelane.  Ortega accetta le quattro condizioni chieste dall’Episcopato, salvo il ritiro delle forze dell’Ordine, pur disarmate.. Il cardinale Brenes sospende il negoziato. Le sommosse bloccano l’economia, gli scambi, il commercio. L’obiettivo è chiaramente il collasso del paese e del governo.

In prima fila nella mobilitazioni sono Ong legate agli Usa. La leader dell’opposizione, Violeta Granero, è ufficialmente pagata da Washington. Tre “studenti” stanno attualmente girando il mondo (ora in Svezia) a sostegno della rivolta. Una è Jessica Cisneros , del Movimiento Civico de Juventude (MCJ) Creato, finanziato come parte integrale dell’Istituto Democratico Nazionale (NDI) statunitense, presieduto dalla famigerata Madeleine Albright, distruttrice della Jugoslavia. Insieme alla NED (National Endowment for Democracy) e a USAID,  si tratta del massimo organismo del Partito Democratico per le infiltrazioni nelle “società civili” dei paesi non subalterni agli Usa. Il segretario generale del MCJ è Davis Jose Lopez che è al tempo stesso coordinatore del NDI per il Nicaragua. Yerling Aguilera, altra studentessa peripatetica, esponente del movimento femminista è una dirigente dello IEEPP, associazione che lavora per “la migliore informazione del pubblico”  ed è finanziata dalla NED.  Esponente dei verdi e delle femministe è anche la terza studentessa, Madelaine Caracas. Si vanta il NDI: “Per assicurarci che la prossima generazione di leader sia in grado di governare ilNicaragua in maniera democratica e trasparente, dal 2010 abbiamo addestrato ben 2000 leader giovanili.

I finanziatori delle Ong, associazioni, istituti scolastici, enti di cooperazione,che regolarmente risultano matrice e fucina dei sovvertitori di governi considerati non obbedienti da Washington, sono sia di Stato, NED, NDI, la CIA, USAID, sia privati. Primo e ubiquo, davanti a Fondazioni come Ford e Rockefeller, c’è sempre lui: George Soros. A Roma come a Managua, a Kiev come a Caracas. E lui e i suoi sodali nei media hanno l’audacia di denunciare interferenze russe.




   
Imitando i terroristi libici, i rivoltosi in Nicaragua hanno sostituito alla gloriosa bandiera rossonera della rivoluzione sandinista, quella bianca e azzurra dei tempi coloniali. Quella di Somoza. L’uomo di cui Roosevelt disse: “Sarà un bastardo, ma è il nostro bastardo”. Vale per tanti altri, in Nicaragua, da noi, nel mondo.





Tutti contro il “governo più a destra della Repubblica” - MA CHE BELLA COMPAGNIA ! - - Sarà mica perché , con questi chiari di luna, parrebbe il meno di destra dal ’48?

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Premessa fuori tema. La più bella partita da quando c’è il calcio? Quella non giocata tra Argentina e Israele a Gerusalemme, capitale della Palestina. Il rigore più decisivo? Quello mai tirato da Messi, ma che ha fatto il più bel gol della storia.


Ci sono degli analisti, osservatori, esperti, accademici, sapienti  talmente acuti  nel penetrare la realtà e tirarne fuori la verità nascosta che neanche un trapano, neanche un martello pneumatico riuscirebbero meglio a scovare che c’è davvero, contro le credenze e superstizioni del popolino, dietro la parete e sotto l’asfalto. Tutti Tiresia, tutte Cassandre i nostri profeti di sventure, pioggia di rane, scenari post-atomici. Da queste assonanze tra affini, sodali, compari, fratelli, soci azionisti del Quieto Esistente  all’ombra della Cupola che regge l’edificio mondo,  e che ora si teme messo a repentaglio, si ergono con cipiglio coloro che la sanno essere lunga e profonda come trapani n.5.

Sono le volpi che hanno capito come, dietro tutta la manfrina dei due mesi di helzapoppin al Quirinale, quello che ha mosso , scompigliato, ricomposto le figurine sul proscenio non era altro che Draghi. Però in seconda battuta. Perché in prima chi può essere il battitore se non un campione della patria del baseball? E fin qui c’eravamo arrivati anche noi: direi che si tratta quasi di un’ovvietà, un luogo comune. Solo che, dopo che il trapano era arrivato a Draghi e da lì ha puntato verso la Statua detta della Libertà, trovatici tutti d’accordo sugli attori in scena, invece sul loro copione e sul finale del dramma farsesco, o della tragicommedia, noi, umili e anche un po’ grezzi curiosoni della geopolitica, ci siamo trovati isolati.

Mentre i trapanisti, arrivati al nocciolo incandescente, si dicono certi che, tutta la manfrina sarebbe servita a mettere in campo un miliziano atlantista contro l’infida Germania, non si sa bene se per rovinare l’Europa, o sottrarla alle grinfie di un marco che se la fa da euro e minaccia di strappare agli Usa le briglia del ronzino europeo  per farne un destriero da combattimento alemanno. Magari facendoci fare un giro anche ai partner russi del Nord Stream,  jawohl !

Si adduce a sostegno (Giannuli) un episodio tratto dall’aneddotica che ha infiorato le giornate del Salvimaio no, Cottarelli sì e viceversa. Mario Draghi, forte più del suo retroterra Goldman Sachs e Rothschild che non dell’eurobanchetta che governa a Francoforte, avrebbe chiamato la testa pensante della Lega, Giorgetti, e gli avrebbe intimato di togliere subito dalla testa del capo l’idea di lasciar fare a Mattarella-Cottarella e andare così a elezioni, si teme disastrose per l’élite. Il matrimonio sui generis a tre (che fa impazzire gli appassionati del nomadismo dei generi), Di Maio, Salvini, Conte, s’aveva da fare. Detto da Don Rodrigo, non si discute: i Bravi stanno lì con ferro e schioppo. Tutto chiaro? Draghi, uomo degli Stati Uniti, anzi della Cupola, ha voluto il “regime populista” e l’ha voluto per avere in Europa un fido scudiero a tre teste, capace di tagliare le unghie alla, per gli Usa troppo invasiva, Germania. Il ragazzo di Pomigliano, il bulletto celtico e il professorino del Tavoliere che tagliano le unghie alla Merkel. Facile, no?

Figuriamoci se non sappiamo tutti che agli Usa interessa sia utilizzare la Germania, bastione anti-russo, sia indebolire lei, il suo euro, l’Europa. Ma non fino al punto da far crollare il sistema, la federazione, per cui Washington si adopera dal dopoguerra per togliersi dai piedi le nazioni sovrane e antifasciste. E dell’Italia, terra da 70 anni occupata dagli Usa, più che lo sgambetto alla Germania, interessa che faccia da fronte sud e fronte est e non alzi mai lo sguardo verso Mosca.


Mario Draghi, il bancario dei banchieri
Non scherziamo. Anzi, su Mario Draghi non si scherza. L’uomo dal ghigno di basilisco l’hanno messo lì a demolire le costituzioni nazionali e sovrane nel nome del soldo che, a parte qualche occasionale bomba, è l’arma di chi manovra il caterpillar che ci schiaccia tutti, a Sud s’intende, cingolando in direzione del regime globale. L’uomo dal ghigno obliquo viene da Goldman Sachs, come tutti coloro messi a capo di situazioni da sistemare, da J.P. Morgan, da Black Rock, da Lehman Brothers che è riuscita a mandare in bancarotta mezzo mondo. Lo strumento di questa conventicola, dei Rothschild, della famigliola Bilderberg, è lo Stato Profondo amerikano, fatto di intelligence, militare, fondi d’investimento. Non è certo Trump, lo chauvinista, il nazionalista, quello dei dazi. Quello è semmai uno che, azzannato 24 ore su 24 per avere preso un giorno il tè con qualche russo e avendo poi detto che anche costui era umano, a Salvini ha mandato Steve Bannon, l’ideologo antimondialista, a implorarlo di tener duro.

Quos vult Iupiter perdere, dementat prius. “Toglie la ragione, Giove, a quelli che vuole perdere” (Euripide). Avevo, nel precedente post, richiamato l’attenzione sull’arrivo di George Soros, lui, si, fiduciario della Cupola nelle operazioni anti-sovranità, migrazioni  e cambi di regime, colorati o violenti.  Era piombato, fulmineo come solo una passione malsana può muovere 87 malvissuti anni, tra i padroni dell’economia riuniti a Trento per intimare al colto e all’inclita del potere italiota, e anche a chi attribuisce il Frankenstein Salvimaio al laboratorio Usa, che con questi si va a finire in bocca all’orso russo. Cosa del tutto indicibile per chi, come l’America che conta e coloro per cui questa lavora, punta a rimuovere lo scoglio Putin dalla mareggiata che ci dovrà vedere tutti indistinti e uniformati agli ordini di un Al Baghdadi vestito a stelle e strisce, con stella di David sulla corona. E Soros cosa mi rappresenta? Quello che è tanto amico di Putin da aver pagato milioni ai nazisti ucraini perché strappassero il paese alla Russia e ne facessero un trampolino Nato per l’assalto finale. Oltre a Soros, l’America di cui sappiamo, ha mobilitato con altrettanta tempestivà, il soldatino di piombo della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg:”Giù le mani dalle sanzioni!”


Le voci del padrone
Non volete farvene una ragione? Per chi  lavora secondo voi la stampa italiana, quella importante, ma anche quella minutina che prova ad educare il pupo che si vorrebbe di sinistra? Dal suo formidabile archivio l’occhiuto Travaglio, accecato da Giove quando affida a certi giornalisticamente incapienti le pagine estere, è andato a rovistare tra i giornaloni degli editori puri Agnelli, Caltagirone, De Benedetti (lasciando perdere i dazebao di Berlusconi, che sono come il sudario sulle spoglie maleodoranti del defunto). Sono, e qui vorrei vedere i trapanisti a negare, l’espressione della più pura propaganda degli interessi dell’atlanto-euro-sionismo, oltreché di qualche manomissione in Italia. Tutti affannosamente amerikani, tutti trafelati russofobi. Ecco cosa scrivono sul governo messo in piedi da Draghi per conto Usa. Premettendo che tutto questo non va interpretato come una mia difesa  del Salvimaio, sul quale mi pronuncerò a tempo debito, dopo i fatti, cito solo un florilegio brevissimo. Il quadro che ne esce fa del nuovo governo qualcosa rispetto alla quale l’idea che gli storici cristiani  ci hanno somministrato di Caligola, Nerone e Attila è semplicemente l’Arcadia. Cosa rappresenta dunque la nuova triarchia per i padroni dei media italiani?  




La Stampa: “Amor di Forca, lo scenario peggiore, sottomettono la costituzione, l’Italia spaventa la UE e Wall Street, governo inaffidabile, torna di moda Robespierre (Lucia Annunziata); la violenza contagia la politica”.
Repubblica: “Di Maio come Berlusconi; tra eversione e disperazione (Giannini); esplosivo laboratorio populista; sono due dittatori?(Scalfari, e vabbè), distruggere l’Italia per danneggiare l’Europa; la minaccia della cosa giallo-verde; Putin tifa, la UE si preoccupa; giurano gli spergiuri (Merlo); allacciate le cinture (Calabresi); avventurismo; quei sospetti sull’asse russo; Berlino e Parigi cominicano a chiedersi se l’Italia può diventare la testa di ponte di due populisti, Putin e Trump (!); tragedia greca; un mix di cinismo e dilettantismo; la notte della Repubblica (Giannini); Putin e Casa Pound sperano”.
Corriere della Sera: “Arriva Robespierre; al peggio non c’è limite; hanno tre nomi: nazionalismo, sovranismo, protezionismo (Severgnini); un suicidio”.
Il Foglio: Tocca cancellare le sciagurate elezioni del 4 marzo (Giuliano Ferrara, CIA); un contratto che fa saltare l’Italia; Lega e M5S vogliono stravolgere le nostre istituzioni (Calenda); Il PD deve unirsi come i greci contro i persiani; la Terza Repubblica fra le risate del mondo intero (Ferrara CIA); il curriculum dei barbari”.
Il Messaggero: Il mezzogiorno resta fuori; no al sovranismo anarcoide; spine su Tav e MPS; l’arrivo dei barbari”.

E pensate che il manifesto, sia rimasto fuori dal coro? Avrebbe tradito la sua missione di collateralista in russofobia, neocolonialismo, antisovranità e sorosianesimo, senza questi suoi sbocchi di bile su un governo molto meno suo che quello di prima. Affida al suo giurista da comodino, Gaetano Azzariti, la lectio magistralis anti–pentaleghisti.  Una vera zanzara tigre cocchiera. Dopo aver definito “presidente mite” colui che da ministro bombardò la Serbia per conto degli Usa e della Germania, dopo averlo proclamato Santo Subito  per aver garantito, lui!, la Costituzione, così sentenzia il sostenitore del golpetto quirinalizio: “Il popolo contro il palazzo in chiave eversiva; privatizzazione dell’organo di governo; nessun ruolo è dato alle istituzioni; non è altro che un comitato amministrativo degli affari;  l’esautorazione del governo, ma anche del parlamento è alle porte”. Ha salvato l’Italia, per Azzariti, Mattarella: non ha mica tentato in tutti i modi di imporci quel FMI di Cottarelli che rappresentava ogni cosa contro la quale gli italiani avevano appena votato! Gran padre della Patria.

Il resto della gazzetta delle mistificazioni, con al centro il giudizio definitivo fatto dare all’eccellenza della giustizia renziana, Andrea Orlando, è in linea: “Conte fa flop e attaccherà i migranti”, cori da stadio per “fuori la mafia dallo Stato” (Daniela Preziosi, una che vede rossobruni in chiunque non apprezzi PD e LuE, lamenta gli applausi al forte intervento antimafia di Conte che ha visto i PD ostentamente a braccia conserte, ma poi in ola alla conferma dell’alleanza con gli Usa e la Nato). Prosegue il manifesto: accorato intervento di Mario Monti: arriverà l’umiliazione della Troika e vi renderebbe un governo semicoloniale (che pulpito!),  Anna Maria Bernini smonta pezzo per pezzo l’edificio costruito dal presidente del consiglio, il delirio dell’ovvietà, la Russia prerivoluzionaria come riferimento per Conte, mai che si parli di rapporti di produzione di proprietà” (quanto ne hanno parlato i governi italiani da De Gasperi in qua!). Queste ultime perle di perspicacia sono di Tommaso Di Francesco. Del resto, con ferreo rigore politico, il titolo suona: “”Conte riempie la replica di gaffe”.

Ripeto, non mi pronuncio sul nuovo governo, di cui temo certe salvinate, dubito di certe dimaiate e, dato che per il momento la rivoluzione da noi sarà, a spanne, per la seconda generazione dopo di me, conto su alcune sostanziose cose pentastellate che non s’erano mai viste prima. Ciò che però mi rallegra vivissimamente è l’incontenibile rabbia, l’odio viscerale, il becero processo alle intenzioni di coloro che Marco Cedolin (“Il Corrosivo”) chiama “i parassiti che da sempre conducono esistenze agiate speculando sulla distruzione dell’Italia e degli italiani”. Tra i quali sappiamo che stanno tutti allacciati nelle prime file, accanto ai macellai sociali, ai grandi ladri finanziari, ai decerebratori dell’anticultura televisiva, i giornalisti al soldo di grassatori e spie (l’80% della grande stampa europea, secondo il prestigioso giornalista tedesco, Ulfkotte, che prezzolato CIA ha ammesso di esserlo), le coop e Ong dell’accoglienza che campano sulla deportazione di interi popoli, gli armaioli e loro ministre, gli assassini dell’ambiente e della storia d’Italia. Tutti coloro che se ne sono rimasti a braccia conserte quando Conte ha promesso lotta senza quartiere a mafia, conflitto d’interessi, corruzione.

Lo ha redarguito Graziano Delrio. Quello delle Grandi Opere, quello sotto la cui sindacatura la provincia di Reggio Emilia  si è guadagnata l’egemonia economica delle ndrine calabresi. Specie di quelle di Cutrò, quartier generale dei boss, dove il sindaco Delrio  si mostrò in pia partecipazione alla processione per la festa del patrono. Uno  come questo qua si è permesso di sbattere Conte tra Hitler e Mussolini. E cagnetti di guardia all’establishment, millantanti un“quotidiano comunista”,  abbaiono in sintono con l’ex-ministro di Tav, Tap, disastri ferroviari, asfaltizzazioni, privatizzazioni autostradali. Stretti nell’abbraccio dei naufraghi, manifesto e Delrio, quest’ultimo inciso nella fedina penale della Storia per aver voluto demolire la Costituzione, intimano al premier: “Lei ha il dovere di osservare la Costituzione”. Non avrebbero potuto esprimere meglio i sentimenti del giornalino i consanguinei L’Espresso : “Sta finendo la democrazia” e Financial Times: “I barbari a Roma”, New York Times: “governo orribile e schifoso”, tanto per ricordare ai bravi analisti quanto certa America e una certa tribù contino sui “populisti anti-Merkel”.

Io non ho idea come si andrà a finire con questo governo tra diversi e opposti. Non si può non seguirlo, quando non si è accecati da Giove e dal timore dei servi di fronte all’irritazione dei padroni, appesantiti dai ceppi della ripulsa a prescindere,  o alleggeriti dal filo di speranza che ci potrebbe indicare un’uscita dalla bocca di lupo. Speranza tanto più grande quanto più spasmodico è l’odio dei gaglioffi globalisti, europeisti e vendipatria. E di George Soros.
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